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Moon

Regia di Duncan Jones vedi scheda film

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Enrique

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La recensione su Moon

di Enrique
8 stelle

Passa quasi una mezz’ora di film e affiora prepotentemente una certa insofferenza, mista ad un tremendo sospetto. Oddio non sarà mai che Duncan Jones abbia voluto emulare/omaggiare Kubrick con una replica di 2001… tanto fedele quanto superflua?

No, per niente. Quando si arriva ad una svolta inaspettata allora, sì, che il film prende una piega ben diversa e tradisce la propria interessantissima autenticità.

Impostando un ritmo lento e compassato (e, nondimeno, soggetto ad un costante crescendo; pazuzu) il regista riesce a sfumare tematiche esistenziali (l’evanescenza del confine fra percezioni mnemoniche e pia illusione; solitudine e alienazione che, quali condizioni umane imprescindibili, schiacciano ed innescano reazioni differenti per ciascuno; il sopravvento dell’identità umana sui surrogati della tecnica; la consapevolezza di un destino mortale quale stimolo di trasmissione della vita; la vita come inesauribile e incessante… “simulacro”…) e sociali (le nuove frontiere del capitalismo, la cui impeccabile efficienza è legata a doppio filo con inedite forme di schiavitù tecnologica) con il tocco leggero di chi ha la consapevolezza dei propri mezzi, ma è deciso a sfruttarli al meglio.

In fondo è coadiuvato da due protagonisti d’eccezione.

Il one man show (LAMPUR) Sam Bell/Rockwell, il quale occupa lo schermo, letteralmente. Riempie uno spazio immenso e vuoto grazie ad una fisicità intensa, ma mai invasiva e convince, lui, nei panni di un uomo che non vuole vivere e morire come un bruto, ma cercare la virtù della verità e della conoscenza, per quanto dolorose e crudeli (lussemburgo).

 

Ma a convincere è anche Gerty, il robot che lo assiste costantemente nell’adempimento delle sue mansioni quotidiane. Dal primo momento in cui compare sulla scena il pensiero corre al suo padre ideale, Hal 9000 (ergo ci si prepara al peggio), ma, col tempo, si finisce, invece, per apprezzare la differente attenzione che l’automa riserva per il suo assistito. Non è un processo, comunque, “automatico” (battuta involontaria). Complice, soprattutto, la scelta di farlo parlare con la voce di Kevin Spacey (in originale), ovvero, da noi, dal mitico Roberto Pedicini (la sua voce italiana “ufficiale”), un doppiatore che sa molto bene come plasmare il proprio timbro vocale onde riuscire a trattenere tutte le sfumature della personalità umana (in questo caso, di un robot umanoide); capacità dalla quale, nel caso di specie, non si poteva prescindere (dal momento che di Gerty doveva essere descritta l’evoluzione della strategia operativa. Da un iniziale, ambiguo aplomb comportamentale ad una servizievole, commovente forma di devozione).

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Complice, a ben riflettere, altresì la scelta di affidare ad emoticons (!!) il compito di dare calore e senso alle sue parole (chinaski).

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