Regia di Duncan Jones vedi scheda film
“Moon” è il felice esordio che non ti aspetti (direi uno dei più sorprendenti degli ultimi anni) alla regia di Duncan Jones, figlio d’arte dotato di talento e idee molto chiare, quanto interessanti, che riesce a rendere vive e significative nella trasposizione in immagini.
Sam Bell (Sam Rockwell) è un tecnico che da quasi tre anni lavora in solitaria su una base lunare dalla quale viene estratto l’elio 3 un gas che, in un futuro non dichiarato, copre il 70% dei consumi del pianeta terra.
Ormai è pronto al rientro sulla terra per riabbracciare la sua famiglia, quando dopo un incidente sul lavoro perde conoscenza e viene recuperato inaspettatamente da un suo clone.
Tra i due Sam si instaura un rapporto difficile fatto di sospetti e di certezze personali (entrambi credono ovviamente che il clone sia l’altro), ma con l’avvicinarsi di una presunta missione di salvataggio, e incalzando di domande l’intelligenza artificiale di Gerty che li protegge, scoprono che la realtà delle cose è decisamente più complicata e che sono in grave pericolo.
Film piccolo per budget ma importante. perché dopo parecchio tempo infonde una nuova linfa al cinema di fantascienza contaminandolo con suggestioni filosofiche ed etiche che vanno oltre alla semplice facciata delle cose regalando riflessioni per niente banali (sulla lontananza dagli affetti, sulla solitudine, soprattutto sulla clonazione come mezzo sostitutivo).
Il tutto inquadrato in una sceneggiatura che si svela gradatamente regalando un crescendo di sfumature interessanti che rendono la visione articolata, ponendo dubbi e svelando con perizia realtà scientifiche ostiche.
Magari mi sarei aspettato un finale un po’ diverso (direi che quello che si vede sfocia quasi in un’improbabile favola a “lieto” fine), ma questo non toglie molto ad un film che lascia piacevolmente stupiti.
Questo grazie anche a Sam Rockwell che occupa da solo quasi tutta la scena (condivisa solo con la macchina Gerty, prodiga di fredde attenzioni), sdoppiandosi con l’innato talento che da sempre lo contraddistingue.
Da segnalare anche lo score audio firmato da Clint Mansell, essenziale, ma prezioso, con la traccia sui titoli di coda che è letteralmente strepitosa.
Dunque spetta un plauso a Duncan Jones che, oltre a dimostrare come le idee contino più dei mezzi (pochi ambienti, utilizzo di modellini per gli esterni, un solo attore da gestire per di più clonato), è riuscito a smarcarsi dal nome tutelare del padre, proponendosi come regista già formato da tenere d’occhio nell’immediato futuro.
Bravo lui, molto bello il suo film.
Esordio molto interessante, caratterizzato da idee chiare e capacità tecnico narrative sopra la media.
Sempre in scena per giunta spesso si ritrova sdoppiato.
Bene, si può dire che sia il valore aggiunto dell'opera, una delle sue prove più mature.
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