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État des lieux

Regia di Jean-François Richet vedi scheda film

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La recensione su État des lieux

di joseba
8 stelle

Dopo aver visto (e recensito) "Ma 6-t va crack-er" (1997), il secondo film di Jean-François Richet, sono finalmente riuscito a procurarmi e vedere (ovviamente senza sottotitoli) il suo primo famigerato lungometraggio, quell'"Etat des lieux" che, realizzato in parte con i sussidi di disoccupazione dello stesso Richet e del cosceneggiatore nonché protagonista Patrick Dell’Isola, fotografa con un bianco e nero dai toni grigiastri la situazione delle "cité" a metà anni '90.

Per l'esattezza siamo nel 1995 – l’anno de "L’odio" di Vincent Cassel, premiato col César per Miglior Film – e Richet, cineasta geneticamente "banlieusard", scrive e dirige questo piccolo lungometraggio (80’) rispondendo "dal di dentro" al film di Cassel e guadagnandosi una nomina al César per la Miglior Opera Prima. Risultato davvero sensazionale, se si pensa che il debutto di Richet si presenta come un film dichiaratamente marxista e antiborghese, rifacendosi da una parte al cinema di Ejzenštein (soprattutto "Ottobre", 1928) e aprendosi dall’altra ai ritmi rap che scandiscono la scena sonora francese di metà anni ’90 (le musiche del film sono opera di "Base Enemy" e degli "Assassin", gruppo indipendente co-fondato da Mathias Cassel, fratello di Vincent).

"Etat des lieux" è un film scomposto e frastornante. Inizia come un reportage documentaristico (con tanto di interviste in presa diretta) per farsi sguardo che tallona Pierre (Patrick Dell'Isola) nelle sue occupazioni quotidiane, interrompendo il pedinamento con sferraglianti associazioni di montaggio di matrice ejzenšteiniana e complicando il percorso con distorsioni audiovisive ai limiti dell’espressionismo. L'intento è chiaro: fornire un quadro veritiero della banlieue parigina (disoccupazione, alienazione, assenza di prospettive), schivando stereotipi e formulette spettacolari per collocare la rappresentazione in una prospettiva marcatamente politica. In questo senso vanno sia i richiami al cinema sovietico degli anni '20 sia la performance rap incastonata nel film (e introdotta da un ciak recante la data 25/10/1917, l'inizio della Rivoluzione d'Ottobre): il testo mitragliato da "Base Enemy" inneggia apertamente alla sollevazione del proletariato contro lo stato borghese e capitalista. E in questo senso va la citazione di Marx che apre il film: "De chacun selon ses capacités, à chacun selon ses besoins".

Forte di una visione che, pur irrequieta e tumultuosa, sa inchiodare le situazioni con lunghe inquadrature fisse, "Etat des lieux" non è liquidabile né con l'etichetta "cinéma-vérité" né con quella di "docufiction", ma si guadagna sul campo una sua autosufficienza estetica grazie a una narrazione aspra e sfrangiata (spesso le sequenze si aprono molto prima che Pierre sia in scena, lasciando spazio ai tanti personaggi che entrano ed escono dal film) e grazie al rifiuto di uno sviluppo drammatico convenzionale (la vicenda di Pierre si interrompe bruscamente con una rabbiosa scopata in un garage). Richet mette fuori gioco una dopo l'altra le modalità canoniche di rappresentazione dell'emarginazione (il reportage, il documentario, l'apologo, la parabola) per piegare il discorso in direzione collettivamente antagonista: lo stato delle cose è così asfittico e umiliante da condannare ogni sforzo di ribellione isolata (come quella di Pierre) al velleitarismo, solo la lotta di classe può sovvertire l'"Etat des lieux". Un film orgogliosamente, spavaldamente marxista-leninista.

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