Regia di Elio Petri vedi scheda film
“Mentre in ogni parte del mondo, per antica consuetudine, un uomo si valuta sia pure approssimativamente con un’occhiata dalla testa ai piedi, qui a Vigevano, l’occhiata si ferma ai piedi. Perché ognuno qui a Vigevano porta le scarpe che può, che deve e che merita”. Presentando il contesto vigevanese, città indiscussamente di primaria importanza nel boom economico concentrata quasi esclusivamente sull’industria della calzatura, il film preannuncia il senso di difficoltà del protagonista, il maestro Antonio Mombelli (Alberto Sordi). Come recitava l’incipit di uno storico reportage di Giorgio Bocca, che appunto partiva da un’inchiesta su questa città della lomellina, il giornalista scrisse: «Fare soldi, per fare soldi, per fare soldi: se esistono altre prospettive, chiedo scusa, non le ho viste» e ancora «abitanti cinquantasettemila, di operai venticinquemila, di milionari a battaglioni affiancati, di librerie neanche una». Ebbene è questo l’ambiente che, con la sua dignità, il maestro Mombelli fatica ad accettare e anzi se ne sente rifiutato. Il prestigio della professione di insegnante è infatti accantonato di fronte ai successi economici di persone che da ciabattini sono facilmente diventati industriali di successo; attività quest’ultima, per la quale il titolo di studio non solo non è necessario ma anzi un elemento a cui sottrarsi ben volentieri, mentre il lavoro in fabbrica rende molto di più. La vita di Mombelli, simile ad un prototipo fantozziano (con tanto di basco in testa) è come il suo successore cinematografico stritolata tra le angherie del borioso direttore e una famiglia, la quale, ancor peggio di Fantozzi, non lo stima né lo considera: la moglie Ada non gli risparmia le critiche allo status sociale indigente, mentre i loro conoscenti, quasi analfabeti, fanno soldi a palate; il figlio Rino è impreparato a scuola e consapevole del poco senso pratico del padre, per questo appoggia le varie scelte della mamma che lo spinge ad iniziare a lavorare e quindi portare soldi a casa. C’è anche una sorta di prototipo del Rag. Filini, ancor più tragico: l’unico amico di Mombelli, il Maestro Nanini, interpretato dal bravissimo Guido Spadea, mai divenuto insegnante di ruolo e altrettanto frustrato, è anche la persona con cui Mombelli sente di poter ottenere un po’ di comprensione ed ascoltare le sue disgrazie. Riprendendo in parte il dramma che si cela tra le pagine del libro di Mastronardi, con una sceneggiatura oltre che del regista anche di Age & Scarpelli, i toni della commedia si mischiano alla ferocia di questo ambiente che appunto sembra conoscere solo le regole del successo economico. Sordi costruisce un Mombelli goffo ed ingenuo, che infatti sarà anche responsabile del fallimento della piccola attività di produzione di scarpe, che moglie e cognato hanno imbastito grazie alla sua liquidazione. La seconda parte del film perde un po’ di smalto, con la sequenza del sogno ma con un epilogo giustamente drammatico dal quale emergono ben poche speranze, anzi Mombelli, rientrato a scuola deve persino sottomettersi al direttore andando a comprargli un francobollo. Alcune critiche sono state sollevate dall’interpretazione di Sordi che a volte rischia di scivolare nella farsa (per quanto contenuto nei suoi cliché), inoltre per giustificare la romanità del personaggio, in un dialogo spiega che si trovava a Vigevano durante la leva militare, cosa che nel romanzo invece è assente; tuttavia Sordi riesce a conferire dei tratti di grande dignità al suo maestro, che non riesce proprio a farsi corrompere ed è protagonista della bellissima sequenza circa la restituzione del denaro ricevuto in prestito a casa dell’industriale Bugatti (il fantastico Piero Mazzarella). Da constatare che la parabola tragica di Mombelli è più contenuta rispetto a quanto aveva inserito Mastronardi nel suo libro, con una totale dissoluzione della famiglia del maestro e l’accettazione da parte sua di un matrimonio con una poco attraente collega che possa avere un risvolto di stabilità economica, ma come in ogni trasposizione cinematografica è naturale dover sacrificare alcuni episodi dando un taglio forse meno drammatico ma comunque molto graffiante all’epilogo della vicenda. Per chi come me è figlio e nipote di coloro che hanno vissuto quell’epoca a una manciata di chilometri da dove è ambientato il film, questa pellicola non può che risultare un vivido ritratto di quel momento con le sue opportunità e le molte contraddizioni. In tutto questo il regista, così come fece Mastronardi, non lesina critiche alla categoria degl insegnanti, infatti il film uscì in un clima particolarmente ostile: i docenti sono rappresentati come feroci l’uno verso l’altro, servili nei confronti di coloro che possono favorirgli i famosi “scatti” di carriera. Da notare anche l’attenzione che viene posta alla definizione delle classi scolastiche da parte degli insegnati, bramosi di avere tra i loro allievi figli di personalità di spicco del paese, sperano anche di ottenere favori e quindi regalie da parte dei genitori di questi ultimi. Eccellente confezione con la limpida fotografia di Otello Martelli e la bella colonna sonora di Nino Rota.
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