Regia di John Hillcoat vedi scheda film
The Road non è solo un onesto compendio dell'ottimo libro da cui è tratto, ma piuttosto un film valido convincente e capace di brillare di luce propria. Il regista John Hillcoat mostra il massimo rispetto per l'omonimo romanzo di Cormac McCarthy (premiato con il Pulitzer nel 2007) riuscendo al tempo stesso a non inciampare nella riverenza.
Il pianeta Terra è un pianeta ormai morente, non nascono più bambini né animali né piante, e gli alberi che ancora ci sono sono destinati a cadere tutti, prima o poi. Un uomo e il suo bambino vagano verso sud, cercano di arrivare alla spiaggia, perché in quella ripongono un'indefinita speranza. Loro sono i buoni, loro portano il fuoco. Non ne conosciamo i nomi, non sappiamo dove siano esattamente, né cosa abbia scatenato l'apocalisse. Ma non è importante. Ci basta sapere che non c'è futuro, e che per le strade ormai si trovano solo macerie, carcasse, e uomini ridotti allo stato brado che per sopravvivere aggrediscono e derubano i propri simili, o fuggono e si difendono da altri a loro volta uniti in gruppo alla ricerca di carne fresca con cui nutrirsi. Sono tutti guidati da cieca disperazione, nessuno escluso, spenti e annichiliti. Il percorso che Hillcoat (e McCarthy prima di lui) descrive è quello doloroso e precoce del bambino da un'infanzia senza sogni verso una maturità in cui l'unica aspirazione possibile è restare vivi; ed è quello durissimo del padre, chiamato a metterlo in guardia dai mali del mondo e ad educarlo alla sopravvivenza ma al contempo anche a dargli dritte su come compiere un ipotetico (ed ipotizzabile) gesto estremo, e a cercare di mantenere in lui acceso il teorico ed illusorio fuoco della speranza, svuotandolo però delle utopie e del buonismo propri della sua età, insegnandogli l'egoismo a scapito della carità e il cinismo in luogo della gentilezza. L'uomo ed il bambino sono ogni uomo ed ogni bambino, ridotti all'impotenza, privati della propria dignità e delle piccole conquiste e certezze su cui poter costruire un'esistenza decente, ultimi fragili baluardi di un'umanità prossima all'estinzione.
Non era facile trasporre in immagini la prosa densa ed essenziale dell'opera di McCarthy, e i dialoghi, brevi e solenni, rischiavano di rivelarsi un'arma a doppio taglio se il regista avesse pigiato troppo sul pedale della retorica. Ma Hillcoat spazza via ogni dubbio cogliendo appieno l'anima del testo, scaricando parte dell'eventuale eccessiva carica enfatica attraverso le musiche passionali di Nick Cave e Warren Ellis, avvolgendo i personaggi in un'atmosfera funerea e immortalandoli in una fotografia sporca modulata sull'intera gamma dei grigi interrotti qua e là dal rosso del sangue: ovvero i colori che dominano le pagine del romanzo del grande scrittore del Rhode Island. A stonare un po' è semmai il finale, comunque fedele al libro: un bagliore di luce inatteso e non necessario che toglie all'opera una (piccola) parte della sua durezza e del suo dolore. Bravi i due attori principali, Kodi Smit-McPhee, lo sfortunato ultimo figlio di un mondo senza futuro, e il padre Viggo Mortensen, dimagrito, imbruttito e quasi irriconoscibile nel ruolo del laconico consapevole e, per questo, sempre più rassegnato protagonista.
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