Regia di John Hillcoat vedi scheda film
L’umanità è alla fine del suo percorso tra le ceneri del nulla post-apocalittico di un disastro devastante, di cui niente è dato sapere, e la triste condizione in cui vive la maggior parte degli individui ridotti allo status disumanizzante e feroce di cannibali.
Un padre e un figlio senza nome attraversano il paesaggio arido, svuotato di qualsiasi presenza animale e costellato da una vegetazione morente, diretti verso il Sud, alla ricerca di un clima più mite, dell’occasione di una rinascita, di una speranza di salvezza.
Ogni incontro è una probabile minaccia, ogni volto, ogni gruppo di uomini può nascondere un’insidia e l’uomo, oltre a insegnare a suo figlio come difendersi, gli mostra con disperata fermezza qual è il modo più rapido per suicidarsi in caso di estrema necessità: dimensione umana terribile quella in cui un genitore è costretto ad arrivare anche solo a pensare di compiere un gesto del genere.
Ma compito dell’amore paterno è, allo stesso modo, quello di mantenere vivo nel figlio il “fuoco” della forza interiore, della solidarietà, ma soprattutto della pietas nei confronti dell’Altro da sé, dopo che la scelta rinunciataria della madre li ha lasciati soli a sopravvivere al cospetto di un destino imponderabile.
Lo spirito religioso che traspare palesemente da ogni dialogo tra l’uomo e il ragazzo, così come la desolata tristezza delle immagini dotate di una loro seppur drammatica bellezza, non appesantiscono la percezione né smorzano la partecipazione emotiva.
Ma quel finale così artificioso e poco congruente, eppure fedele al romanzo da cui è tratta la pellicola, indebolisce parzialmente la seconda parte di un film comunque magnifico e sconvolgente.
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