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The Road

Regia di John Hillcoat vedi scheda film

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La recensione su The Road

di ROTOTOM
8 stelle

Tratto dall’omonimo romanzo-capolavoro di Cormac McCarthy premio Pulitzer nel 2007, “The Road” è una storia d’amore lancinante e disperata inserita in uno scenario apocalittico. Dieci anni dopo una catastrofe planetaria che ha ridotto il mondo in cenere, gli ultimi sopravvissuti sono cani sciolti affamati, feroci cannibali riuniti in branchi. In questo mondo desolato un uomo e suo figlio spingendo un carrello da supermercato contenente le poche cose che hanno salvato, arrancano a piedi lungo la strada che conduce al mare per sfuggire all’imminente inverno, in cerca di salvezza.

John Hillcoat già artefice di uno dei migliori western contemporanei, “La proposta”, scritto e musicato dall’amico Nick Cave  autore anche delle musiche allucinate di “The Road” , è regista di grande sensibilità. Adagia il suo film sul testo con rispetto senza concedere nessuna chance spettacolare o ruffianeria narrativa, puntando invece su un realismo di grande impatto visivo e rallentando la narrazione focalizzandosi sui personaggi. Rarefatti ed essenziali i dialoghi  privati di ogni retorica che approfondiscono il rapporto tra l’uomo e suo figlio, domande che mai dovrebbero abitare la bocca di un bambino, risposte che un padre non vorrebbe mai dare.

 L’azione è delegata a pochi furibondi momenti di follia e orrore.  

La scelta di non fornire alcuna spiegazione degli avvenimenti  permette al regista di concentrarsi sull’immagine come unica testimone degli eventi, così quello che accade nel quadro è simbolicamente la consapevolezza del qui e ora come unica verità confutabile, esattamente come i protagonisti vivono la loro vita bloccati in un presente figlio di nessun passato e cieco a qualsiasi futuro. L’immagine si carica così di potenza drammatica spiazzando lo spettatore già privato di qualsiasi punto di riferimento narrativo e costringendolo a identificarsi totalmente con i protagonisti.    

Una terra  incenerita da un olocausto che non ha alcuna ragione plausibile, un’ambientazione ostile virata in una luce grigiastra che nasconde il sole e rende putrido tutto il poco che è  rimasto, scheletri di alberi torti dal dolore, la disumanità dei pochi superstiti resi folli dalla fame, la pietà che muta in disperazione. In questo contesto di completa de-civilizzazione l’uomo è ridotto al grado zero della sua natura, svuotato di sovrastrutture sociali rimane soltanto l’istinto di sopravvivenza, il ritorno ad una elementare forma di esistenza dominato dalle pulsioni primordiali. La strada è un nastro d’asfalto che rappresenta l’unica direzione possibile, il dito nero di un dio putrefatto  puntato verso l’orizzonte che nasconde il mare, il luogo nel quale ebbe origine la vita. Nel contesto di estinzione della razza umana il mare perde qualsiasi connotazione geografica per assurgere a luogo metafisico, il viaggio  termina dove tutto è cominciato. In un mondo immobile e morto anche solo muoversi è la prova che ancora si è vivi.

L’uomo e il bambino non hanno nomi, esattamente come nel libro l’identità viene svuotata per elevare i protagonisti a pura astrazione, il sentimento che li lega è l’assoluto che alberga nel cuore dell’essere umano portatore di  una pulsione atavica e salvatrice: l’amore di ogni uomo per il proprio figlio, unico messaggero di un futuro possibile. Bagliori di umanità lacerano il fuligginoso velo di desolazione nei suoni e nei silenzi della ritualità dei gesti che anelano ad una quotidianità perduta, uno strenuo tentativo da parte dell’uomo di salvare almeno il ricordo della normalità e trasmetterla al figlio. Quel ricordo indotto che potrebbe salvare il bambino se al momento giusto saprà riconoscere il bene farsi largo in quel mondo devastato. Specularmente, l’esigenza di sapersi suicidare è vitale quanto sopravvivere, questo lo straziante insegnamento del padre al figlio nel mostrargli la pistola nella quale rimane un unico colpo. L’alternativa della dignità della morte è molto più accettabile della violazione del corpo dell’essere umano ad opera di altri esseri (dis)umani, sentimenti modellati il volto spigoloso di un intensissimo Viggo Mortensen che ha negli occhi il  dolore della vita e lo sbigottimento della morte  riunite in un’unica emozione.

 “The Road” è triste e cattivo, impegnativo e non accondiscendente verso lo spettatore, caratteristiche che ne hanno ritardato la distribuzione nelle sale italiane finendo per essere relegato al termine della stagione cinematografica. Ma è anche un film profondamente umano e commovente, realmente emozionante come il cinema contemporaneo ha da un po’ di tempo dimenticato di essere.

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