Regia di Vincenzo Marano vedi scheda film
Inserire il genitivo di possesso in riferimento a una donna già nel titolo è un po’ come scendere dal letto la mattina con il piede sbagliato: non si potrebbe iniziare peggio. Tanto più se il vero dramma che sottintende l’intero film è proprio quello di non avere un uomo a cui appartenere, qualcuno da cui farsi possedere. Triste sorte toccata - ahilei – a Sarah, una prostituta di lusso il cui destino si lega a Delvaux, uno stereotipatissimo giudice bello quanto arrivista, e a Jeanne, una giornalista-giornalista per dirla con Marco Risi (a proposito, è il quarto film nel giro di un paio di mesi che “riflette” su questa professione, dopo State of Play, Uomini che odiano le donne e appunto Fortapàsc). Se tutti i personaggi in gioco - nessuno escluso – fuori e dentro questo scontato triangolo hanno un prezzo e un grado di corruttibilità, ciò che però risulterebbe insopportabilmente maschilista agli occhi anche di una non femminista scatenata è proprio la concezione delle donne che se ne deduce: arrapate ma frustrate, subalterne e in cerca di un protettore, solidali e lesbiche solo se a latitare è la materia prima maschile, eternamente in attesa. Diseducativo.
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