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Non ti voltare

Regia di Marina de Van vedi scheda film

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Marcello del Campo

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La recensione su Non ti voltare

di Marcello del Campo
4 stelle

locandina

Nella mia pelle (2001): locandina

 

From Paris to Lecce sarebbe il titolo più appropriato per quest’ultima fatica di Marina De Van (e nostra, soprattutto) perché l’originale ne te retourne pas più che alludere al plot di un film au dehors de la peau, implica un sottinteso quanto garbato invito a evitare una seconda visione, essendo sufficiente la prima a sbrogliare l’enigma di una donna una e duplice nello stesso corpo.

La donna è Jeanne, affascinante Sophie Marceau che non si è mai scollata dal tempo delle mele, sposata  con prole, marito attento e premuroso, figli ben educati. Interno borghese, intrico di foto, specchi, fantasmi di un passato e di un altrove.

Come e perché, a un certo punto, Jeanne cominci a dare i numeri, non è dato sapere cause e concause. Fatto sta che in un giorno qualunque, la donna si avvede, non senza sgomento, che il tavolo per la colazione mattutina (tutti al desco!) le sembra sia stato spostato da quei mattacchioni di consorte & figli. Prima era parallelo alla finestra, ora è di traverso.

Poltergeist forse, perché nessuno ha spostato nulla, il tavolo è stato sempre lì, - parallelo alla finestra. Eppure Jeanne è convinta che gli oggetti subiscano cambiamenti; né le molte foto scattate, come è d’uso tra le domestiche pareti nei giorni di festa, dicono il contrario - in esse il tavolo è parallelo alla finestra, diamine!

Fin qui siamo in pieno clima Baffi di Carrère, anche se un’occhiata a Gelosia di Alain Robbe-Grillet sarebbe stata utile per una sceneggiatura sullo slittamento progressivo degli object.

Niente di tutto ciò, non il nouveau roman, non un pizzico di originalità: il mistero del tavolo spostato è solo frutto della syndrome de déréalisation (apprendemmo da studenti e come pazienti) cui Jeanne è incappata.

È l’inizio di un’apparente schizofrenia: dapprima gli oggetti, seguono i soggetti – il mondo di Jeanne deflagra in mille frammenti di specchi che le rimandano l’immagine di un’altra donna, un’altra Jeanne, un altro viso.

Anche il corpo di Jeanne subisce mutazioni che solo a lei sono visibili: vesciche sulle braccia, enfiori sulle gambe, - la de Van apprende da Cronenberg, della de Van non c’è nulla in questo film di nessuna entità, tutto è già visto già digerito.

Finisse l’opera con la diagnostica del corpo e mente di donna, preda di catastrofe psichica, il film non prenderebbe la strada del ridicolo spinto, sarebbe un minimo credibile come supporto alla filmografia-psichiatrica di Gabbard.

Ma la de Van esce di pelle, intende percorrere la strada concreta, insidiosa degli antecedenti biografici di Jeanne: come e perché non si tratti di malattia di climaterio e altre insoddisfazioni tra mura domestiche.

Allora, non volete che Jeanne lasci Parigi e famiglia per partire verso la scaturigine del suo malessere?

L’enigma si risolve a Lecce, tra risaputi canti barocchi, pizziche e tarante.

Ma Jeanne Marceau in quel di terra salentina è Jeanne Bellucci.

Di più non posso dire [spoiler telefonato].

Un brutto film – davvero.           

 

 

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