Regia di Tonino De Bernardi vedi scheda film
Dal punto di vista strettamente stilistico, in questo film Tonino De Bernardi sbandiera un personalismo casalingo da videoclip girato con gli amici, che non va oltre i confini della sua privatissima visione. Quello di "Ofelia lontana" è un cinema che è kitsch e straccione e se ne vanta; ed il riferimento all'opera di Shakespeare sembra unicamente dettato dall'esigenza di contestualizzare le sue stravaganze autoriali appoggiandole su una storia nota. Tuttavia, se si mettono da parte i dubbi sollevati dall'evidente, quanto ingiustificata, pretesa di letterarietà, si può comunque apprezzare una certa impronta artistica, in questo prodotto che non manca, a dire il vero, né di inventiva, né di espressività. Come in "Piccoli orrori", le scene, dominate da un'unica figura, danno vita a ritratti in cui il personaggio apparentemente si astrae dall'ambiente, mentre, in realtà, ne è vittima: una vittima passiva, come Ofelia, che si lascia intrappolare dalla strada, dalla discarica, dal cumulo di macerie, dalla vegetazione incolta e, infine, dall'acqua del torrente; oppure una vittima (comb)attiva, come Amleto, che lotta contro le parrucche di lamé, sgargianti emblemi della sua follia; o, ancora, una vittima autolesionista, come la Gertrude mascolinizzata, che si rompe le uova sulla faccia. Nel dimesso ambiente domestico, la prigionia del dramma, tipica del mondo shakespeariano, perde ogni dignità tragica ed ogni mitico eroismo, per ridursi ad una irrimediabile miseria morale e spirituale (vedi Claudio che si autocondanna, senza mezzi termini, come fratricida, e Gertrude che cerca disperatamente di giustificarsi, ma non riesce ad emettere alcun suono). In definitiva, il brutale intervento del regista su un'opera tanto illustre, non è dissacrante, né attualizzante: è, invece, soltanto finalizzato a farci toccare il fondo dell'abisso interiore in cui i personaggi sono immersi.
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