Regia di Renato Polselli vedi scheda film
E' triste vedere come, nel 2013, ancora esistano pseudo-opinionisti che giudicano un film dai centimetri di pelle che vi vengono mostrati.
E, così, capita di leggere recensioni bigotte e cieche, come quella dell'ineffabile mm40, che sentenziano "Questo è un film porno" con evidente sdegno da parrocchietta, come se si parlasse di immondizia, di qualcosa di indegno, di qualcosa che non merita attenzione né considerazione, di qualcosa che - forse - fa un po' paura per la sua carica sovversiva e perturbante (ancora oggi, dopo più di 30 anni dalla sua realizzazione!).
A parte il fatto che la versione che ho visionato io (edita dalla gloriosa Shendene & Moizzi) non era assolutamente "pornografica", non conteneva cioè "dettagliati particolari anatomici" né alcuna penetrazione (se proprio vogliamo soffermarci su simili inezie!), come invece afferma l'ineffabile di cui sopra, ma era invece squisitamente softcore, con scene di sesso simulate benché indubbiamente molto ardite (specie considerando l'epoca in cui è stato girato); a parte questo, dicevo, Oscenità è uno dei massimi gioielli del cinema scult italiano. Non per tutti, certo, ma i molti estimatori open-minded del buon vecchio cinema "segreto", trasgressivo e rivoluzionario non possono assolutamente lasciarselo sfuggire!
Il suo regista, Renato Polselli, è un'autentica leggenda del cinema bis tricolore, purtroppo sottovalutato dalla maggior parte del pubblico e della critica, ma in realtà dotato di notevole finezza autoriale, persino filosofica, e di un folgorante talento poetico e visionario.
L'apparenza delirante è l'elemento, invero, più interessante ed ammirevole di questo film, benché a tratti possa strappare qualche sorriso di stupore e/o di sconcerto. Del resto, perché la dimensione sovversiva di un'opera d'arte possa deflagrare appieno, essa deve necessariamente "scioccare" lo spettatore, e questo il grande Polselli lo sapeva bene. Ed è riuscito, con questo ed altri suoi film (in primis Rivelazioni di uno psichiatra sul mondo perverso del sesso, che gli è di poco inferiore) a regalarci momenti di cinema estremo come, ahimè, non se ne vedono più nella nostra desolata e desolante era di conformismo, ipocrisia moralistica e rinnovati tabù socio-sessuali.
In realtà, chi ha la mente spalancata e ha superato già da un pezzo il risibile e odioso confine tra erotismo, pornografia ed arte, i margini della morale costituita, le frontiere del(l'in) visibile ed i rancidi comandamenti del "comune senso del pudore", non potrà non riconoscere all'autore Polselli una geniale e coraggiosa brillantezza registica, una capacità più unica che rara di unire i bassi istinti del voyeurismo cinematografico all'analisi profonda e non banale di perversioni, comportamenti sessuali lubrici e meccanismi sociologici di repressione e liberazione dei sensi.
Certo sarebbe interessante vedere il film nella sua versione originaria, prima che la maledetta Commissione Censura lo bloccasse e relegasse in un magazzino, costringendo Polselli a rimaneggiarlo aggiungendo (forse un po' forzatamente, poiché la rappresentazione "oscena" del sesso è già di per sé rivoltosa) fantastici, incredibili dialoghi post-sessantottini e un messaggio di condanna sociale contro gli abusi del potere e la violenza sulle donne. Il quale è, chiaramente, solo un abile pretesto per arrivare alla meta prefissata: scardinare i cancelli rugginosi della morale comune e toccare i nervi scoperti dell'ipocrisia catto-borghese che - come si può tristemente vedere - ancora prospera e blatera, sproloquia e protesta boriosa e scandalizzata ad ogni nuovo "attacco" alla propria virtù di cartapesta.
Tuttavia, anche nella sua forma "riveduta e corretta", Oscenità resta il capolavoro di un regista ingiustamente e colpevolmente dimenticato. Una delle vette di un cinema marginale e sotterraneo che, a nostro scapito, non tornerà mai più. Una piccola perla nera, scomoda e rivoluzionaria, da rivalutare in tutta fretta. Ma seriamente, senza gli umilianti e retrivi paraocchi che in troppi, a tutt'oggi, si ostinano ad indossare.
Non conta la trama, che è poco più di un pretesto: conta l'effetto disturbante e visionario delle sequenze che, nella loro estrema carnalità esibita con audace e dionisiaca fierezza, ci guidano verso un delirio policromo di incredibile modernità, toccando anzi l'avanguardia e la più geniale pop-art.
Ricordo la strana musica di Umberto Cannone come elemento piuttosto inquietante e sperimentale, perfettamente in linea con l'atmosfera delirante ed eversiva del film e dei suoi contenuti.
Il cervello di chi, per giudicare un film o una qualsiasi altra opera d'ingegno, non sa vedere al di là di un seno, di una vagina o di una copula. E, malgrado ciò, si permette anche di sentenziare sul valore artistico dell'opera in sé.
Come son tristi, gli esseri umani!
Uno dei più leggendari e rivoluzionari registi del cinema bis nostrano. Da riscoprire e rivalutare al più presto, per rendergli, alfine, i dovuti onori e riconoscergli i giusti e reali meriti, senza più lasciarsi condizionare dai polverosi paraocchi che la morale precotta e preconfezionata ci (anzi: vi) impone.
Bellissima, espressiva e sensuale ma, al contempo, dolce, eterea e vagamente virginale.
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