Regia di Mia Hansen-Løve vedi scheda film
Un produttore cinematografico sull’orlo del fallimento e tutto preso dal lavoro si uccide; la vedova (con tre figlie piccole) prende le redini della società e, prima di curarne la liquidazione, cerca di concludere i progetti ancora in corso. Narrazione lineare, anzi elementare: l’evento tragico si colloca al centro e costituisce l’acme emotivo (peraltro mostrato con la massima sobrietà), non ci sono miracolosi interventi risolutori, anche un potenziale colpo di scena (un figlio avuto da un’altra donna) rientra subito senza produrre effetti. Suicidio a parte, non succede molto: vengono dati dettagli sulla lavorazione dei film, sulla ricerca di finanziamenti e sui rapporti con i registi riottosi. Insomma è un film minimale, volutamente povero, dai toni (fin troppo) sommessi, che non rinuncia a tagliare le parti noiose della vita e anzi se ne compiace. Coerentemente, non sembra voglia proporre nessuna morale: solo mostrare la vita che riprende a scorrere. Credo vada considerato soprattutto un omaggio della regista a Humbert Balsan, che avrebbe dovuto produrre il suo film di esordio e si è ucciso nel 2005.
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