Regia di Yorgos Lanthimos vedi scheda film
Una ricca famiglia borghese osservata mentre trascorre serenamente le proprie giornate in una isolata e lussosa villa di campagna con piscina, tra giochi innocenti e serate eleganti... Non foss'altro che i tre figli già grandi (un maschio e due femmine) vivono da sempre reclusi nella prolungata stagione infantile di una ossessiva cattività psicologica, convinti come sono dai genitori che il mondo esterno sia il regno crudele e periglioso di voraci creature feline e che gli sia interdetta l'uscita oltre le 'Colonne d'Ercole' dell'invalicabile cancello di casa.
Partendo da un rudimentale processo di alfabetizzazione che trasfiguri il significato di sostantivi e predicati che animano la pericolosa narrazione di un mondo esterno quale dominio di libertà e fuga, Lanthimos ci introduce lo sconcertante menage di una realtà familiare in cui gli aspetti educativi legati alla protezione ed al possesso filiare si traducono nella patologica condiscendenza di una prigionia domestica quale esempio di un degrado sociale e psicologico che origina nell'insospettabile e apparente benessere di una ricca famiglia borghese. Al di là di qualsiasi intenzione politica e sociale il film del regista greco si attiene ai rigorosi codici di una messa in scena che evoca il disagio e la condizione di isolamento nell'apparente normalità di una ripetitiva quotidianità fatta di inquadrature in primo piano e della quasi totale assenza del controcampo, finendo così per precipitare lo spettatore nella 'trappola per topi' di uno straniante esperimento sociologico. Gli elementi di credibilità su cui si incardina questo realismo dell'assurdo sono da un lato l'evocazione di un mondo di 'miti e leggende' che popolano la fantasia di bambini ormai cresciuti soggiogati alla catena di una dolce cattività e dall'altro la consapevole e lucida follia di deterrenza di quelle pulsioni violente (l'aggressività, la sessualità) disinnescate tanto nella pratica sessuale (il meretricio,l'incesto) quanto nello stringente calendario diurno scandito dalle continue gare di una puerile competizione per l'agognata ricompensa settimanale: un nuovo adesivo, un modellino d'aereo, la scelta dell'intrattenimento serale. Figlia di una restrizione e di una mistificazione culturale che ha lo scopo di escludere qualsiasi contatto col mondo esterno, si percepisce una certa contraddizione nell'introduzione di elementi destabilizzanti quali la lettura dei libri (tranne forse un manuale di anatomia), l'incontro di persone estranee alla cerchia familiare (tranne la fidata dipendente addetta alla guardiola), la fruzione cinematografica (tranne 'Rocky' e 'Lo squalo') che sembrano minarne le basi di coerenza e credibilità narrativa forzando il registro sulla direttrice del più facile racconto metaforico, confermato peraltro nel prevedibile espediente drammaturgico di una allarmante scappatoia odontoiatrica e nel finale interdetto di un crudele quanto inutile tentativo di fuga. Piccola mitologia di un microcosmo familiare quale assurdo paradigma dell'isolamento e della misantropia dell'uomo moderno. Premio nella sezione 'Un Certain Regard' al 62º Festival di Cannes.
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