Regia di Yorgos Lanthimos vedi scheda film
Azzanniamo con ferocia la carne di un nuovo reale nel piccolo mondo sociale chiuso in un recinto che è confine dell'isolamento utopico. Sarebbe riduttivo parlare di Kynodontas come del semplice racconto della disumanizzazione dell'essere umano anche nel contesto più sicuro e confortevole che è la famiglia, perché oltre a questo il capolavoro di Giorgos Lanthimos è uno degli apologhi orrorifici più crudeli sull'educazione e sulla creazione di una nuova razza umana, addestrata in funzione dell'atto d'amore più spaventoso e aberrante che si possa immaginare. Si potrebbe facilmente pensare a un miscuglio davvero fenomenale di Haneke e Seidl, infatti del primo c'è la rigidità pulsante (qui in realtà neanche più di tanto) delle immagini, di Seidl la follia conturbante delle azioni umane sottoposte a estreme auto-rifondazioni, ma in realtà Lanthimos riesce a creare un suo stile personalissimo, perchè con il suo sguardo intriso di asimmetrica razionalità prende di sbieco i personaggi e li scruta come un entomologo o anzi un animalista che osserva il comportamento dei cani che lentamente vanno assumendo sembianze umane e che sempre più si avvicinano a quei comportamenti socialmente accettati che coincidono con il semplice 'rispetto della regola', qualunque essa sia. Così i genitori di questa irreale e terrificante famiglia diventano i despoti di piccole umanità - i loro figli - incapaci di spiccare il volo nel mondo perché controllati dagli svaghi più autolesionistici e dai divertimenti meno consigliabili (le dita nell'acqua calda, gare di apnea all'ultimo sangue, contese di piccoli giocattoli); così si va ricreando un gruppo umano alternativo volto all'autoconsumo di sentimenti ricostruiti a tavolino, perseguiti come da una mente perversa che tutto regola e tutto manovra convinta della propria costante sopravvivenza. Ad affiancarsi ai sentimenti (suddetti) e agli istinti primordiali studiati e previsti, un nuovo raziocinio robotico che non è abolizione dell'istinto o del sentimento ma è controllo di questi ultimi, non nella meccanicità del sesso (che comunque perde di vitalità) ma nella sua ricostruzione, nella sua imitazione ideale, rispondente a necessità o riproduttive o di semplice sfogo che i genitori amatori-odiatori concedono al figlio maschio forse perché ad affermarsi in quel piccolo staterello disperso è un maschilismo radicato fra i mali della storia umana; e poi raziocinio del sentimento non nella sua espressione fredda e impassibile ma nella sua riedificazione, come se si volesse copiare lo stereotipo della buona e brava famiglia fatta di vari affetti reciproci. Non c'è più questione di ipocrisia, non c'è più questione di nascondere le cose gli uni agli altri, l'ideale dei due genitori è un mondo senza segreti, in cui tutti sanno tutto (quello che c'è da sapere dentro il recinto, pressato da una realtà esterna pulsante), in cui si rispettano le regole per un amore che di norma non può avere regole, in cui si cerca affezione familiare nonostante le frequenti punizioni corporali. Poco importa se tutto si basa, effettivamente, su un'Ipocrisia, su una Finzione colossale che proibisce ai tre figli di mettere il naso oltre il cancello, verso un nuovo mondo che appare pericoloso e denso di insidie (gatti carnivori, aerei che crollano). La cosa che più importa è che i genitori lo fanno per amore, ancora una volta questo amore diverso e stralunato (seppur sopito dalla regia saggia e controllata di Lanthimos) che è più egoistico che altruistico, nel suo tentativo di addestrare i propri cuccioli e a promettere loro una libertà per niente raggiungibile quando i loro 'kynodontas' cadranno e loro diventeranno capaci di affrontare ANCHE i gatti carnivori, che il loro supposto fratello non è riuscito ad affrontare (e lo sguardo finto attonito della madre sconvolta alla notizia della morte del figlio mai avuto, benché in secondo piano in una brevissima sequenza, fa venire i brividi e si imprime nella memoria).
Il cinema che è partito dall'idea dell'isolamento ideale di qualcuno di infelice e di ingenuo deriva anche da forme d'arte precedenti: il più noto esempio storico è sicuramente il Rigoletto, che teneva lontana la figlia da un mondo di uomini crudeli (in particolare uno). Poi al cinema La vita è bella tentava, come atto d'amore estremo e incolmabile, di proporre un'alternativa a un bambino imprigionato in un lager. Infine in The Village di Shyamalan l'isolamento è voluto e sempre a fin di bene, alla fine sconvolgente ma non del tutto ingiustificato. Lanthimos apre invece gli occhi verso il nuovo fronte della chiusura mentale, della formazione giovanile all'insegna di una succulenta alternativa al bigottismo e di una storia estrema quanto i fatti che vi si susseguono molto silenziosamente, in cui a fare realmente impressione, ancora di più che le scene hard e gli improvvisi schizzi di sangue, sono i volti di quei due genitori despoti: l'atto d'amore più 'cattivo' e controverso visto nel recente cinema contemporaneo.
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