Regia di Yorgos Lanthimos vedi scheda film
Una casa in mezzo al nulla, dal nulla avvolta e protetta, esclusa. Una casa abitata da persone estranee al mondo, o quasi. Un padre e una madre, tre figli e un’esistenza scadenzata da giorni sempre uguali, mai contrari. Solo al padre è concesso uscire per andare a lavoro, per procacciare cibo, necessario ad alimentare vite che sembrano svolgersi sotto la protezione di una campana di vetro che in realtà altro non è che una gabbia senza sbarre in cui gli abitanti, inconsapevoli della loro prigionia, si precludono la libertà.
Il racconto a suo modo macabro di Yorgos Lanthimos ha tratti onirici, da incubo senza fine. Da sempre affascinato, evidentemente, dalle dinamiche familiari e dall’effetto che si ottiene dall’influenza di un essere umano sull’altro, il visionario regista stavolta ci racconta qualcosa di inspiegabile e incomprensibile.
Estremizzando una dinamica familiare che potrebbe essere comune a molti, la predominazione della psicologia e della figura paterna su ogni altro, Lanthimos mette in scena una realtà distorta abbracciata con naturalezza e normalità da coloro che la perpetrano. Laddove ogni elemento esterno, umano o non, dissipa uno già precario e insostenibile equilibro che si va perdendo proprio con il termine dell’adolescenza.
Allora decade tutto, o quasi. La ribellione post-adolescenziale di uno dei figli, proverà a mettere in disordine l’ordine malato in cui si sopravvive ma la prontezza del genitore scaltro e ossessivo, impaurito dal cambiamento, rimetterà tutto in ordine, ricreando una zona di comfort che spaventa al solo pensiero, causando dolori di stomaco che tornano anche solo a ripensarci.
La narrazione del grottesco di Lanthimos disturba ma al contempo attrae. Crea una pellicola non adatta a tutti e forse incomprensibile ai più ma che diventa non tanto un esercizio di cinema quanto il tentativo di esplorare fin dove può arrivare la convinzione di una mente umana manipolatrice.
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