Regia di Bahman Ghobadi vedi scheda film
Lande desolate, movimenti di macchina quasi impercettibili e commossi ritratti di bambini. Questo è - almeno in parte - il cinema iraniano che abbiamo conosciuto fino a ora. E che, d’altro canto, sembra dissolversi all’interno delle produzioni contemporanee. Per intenderci, quelle partorite durante o dopo i tumulti dell’estate 2009: uno tsunami, più che un’Onda. È il caso di I gatti persiani, trionfatore della sezione Un Certain Regard della 62ª edizione del Festival di Cannes e quinto titolo riconducibile alla filmografia di Bahman Ghobadi. Che scandaglia così la vita underground di una Teheran inedita, frizzante e romantica. Nonostante tutto. Protagonisti della scena, infatti, sono due ragazzi che, sebbene abbiano già inalato gli odori acri della prigione, non hanno nessuna intenzione di lasciarsi intimorire dalla “Legge” e dai suoi guardiani (onnipresenti, senza tuttavia essere mai mostrati in volto, quasi non avessero dignità sufficiente). D’altra parte questo è il prezzo da pagare per fare musica (un indie rock misto al rap e alla canzone tradizionale farsi) che nel Paese degli Ayatollah è considerata impura e quindi illegale. Come i gatti persiani del titolo, costretti a vivere nascosti all’ombra delle mura domestiche. Non resta quindi che emigrare in Europa, magari a Londra, anche se per riuscirci devono prima mettere insieme una band e procurarsi passaporti falsi. Un po’ quello che è successo ai due attori, al regista stesso (che aveva già ribaltato i codici del neorealismo iraniano con Il tempo dei cavalli ubriachi) e alla sua fidanzata nonché cosceneggiatrice della pellicola, Roxana Saberi, che è stata prima arrestata, e poi rilasciata, con l’accusa di spionaggio. A metà tra film di finzione, videoclip musicale e documentario, Ghobadi firma così il proprio grido di ribellione all’inettitudine intellettuale e creativa auspicata se non imposta dal regime, girando di nascosto e senza nessuna autorizzazione (alla stregua di Teheran Without Permission). Una dichiarazione d’amore incondizionato verso l’Arte in quanto strumento di riscatto e affrancamento, ma anche verso il proprio Paese, diventato tuttavia insostenibile. In attesa che i felini limino le unghie.
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