Regia di Bahman Ghobadi vedi scheda film
La musica rock che, in Iran, viene suonata nella clandestinità, rappresenta il cuore nascosto di un Paese che affida alle nuove generazioni la speranza di una rinascita del pluralismo culturale. Quei ritmi che vibrano sottopelle - soffocati, negli scantinati, dalla profondità del terreno, e spenti, in casolari isolati, dalla distanza rispetto ai centri abitati – sono come le grida della rivoluzione che fanno le prove generali prima di poter essere finalmente emesse. Le immagini di vita cittadina sgranate dai suoni metallici delle chitarre elettriche ci restituiscono una Teheran in versione videoclip, che ha poco della roccaforte islamica, e molto della metropoli occidentale, compresa l'emarginazione descritta nelle ballate rap. Di diverso rimane il senso di oppressione, che limita la libertà di esprimersi artisticamente e che, per le donne, in particolare, implica il divieto di esibirsi in pubblico. Bahman Ghobadi ci propone un itinerario quasi documentaristico attraverso il mondo sommerso delle band nate come aggregazioni spontanee, che si differenziano per genere, ma sono accomunate dal desiderio di emergere, di far sentire la propria voce, magari scappando all'estero con un passaporto falso. Il carattere quasi amatoriale delle riprese rende il film stesso partecipe della natura improvvisata, ma genuina, di tutte quelle imprese creative che fanno sopravvivere, sotto la cappa asfittica dell'integralismo religioso, l'anima del progresso, evitando di perdere l'aggancio con la modernità. Il distributore abusivo di film europei ed americani che il giudice vorrebbe condannare a settantacinque frustate è la – quasi donchisciottesca – figura di raccordo tra l'era contemporanea e la tradizione oscurantista, l'incarnazione del piccolo indifeso anacronismo che si aggira furtivo in mezzo ad un museo delle antichità, sfidando come può il gigante medievale. La sensazione che si ricava, di fronte alla frustrazione dei giovani protagonisti di questo film, è quella di una situazione tragicamente ridicola, resa inutilmente difficile da un nonsenso reazionario che, dall'epoca della rivoluzione khomeinista, col passare del tempo si è snaturato, riducendosi infine ad un burocratismo sadico, e pretestuosamente spacciato per rigore morale e fedeltà all'identità nazionale.
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