Regia di Ernst Lubitsch vedi scheda film
Film tra storia e melodramma, Madame Dubarry si muoverebbe assai male tra due generi da maneggiare con cura, se non fosse per il regista, che sa infondere ironia in una storia che a più riprese rischierebbe di scivolare nel lacrimevole e nel feuilleton.
Il rischio è quello di voler raccontare la storia "dal buco della serratura", attraverso una serie di vicende sentimentali (o peggio) e se da questo punto di vista il pericolo è sventato, non si può non notare come il finale appaia tirato via (a meno che non si debba per l'ennesima volta fare i conti con tagli inopinati praticati dalla produzione), con quel salto temporale davvero poco "diegetico": si passa in un batter d'occhio e senza grandi spiegazioni dalla morte di Luigi XV (1774), con la conseguente cacciata della Dubarry dalla corte di Versailles, alla Rivoluzione del luglio 1789 e quindi all'esecuzione della condanna capitale nei confronti della protagonista (8 dicembre 1793), pronunciata proprio dal giovane studente che vediamo all'inizio fidanzato con Jeanne, nel frattempo diventato giudice al servizio del Terrore.
All'interno di queste coordinate, Lubitsch si muove secondo un'estetica che alterna il realismo ispirato alla pittura settecentesca con alcune sequenze che fiancheggiano (e per certi versi anticipano) l'espressionismo cinematografico tedesco, il cui film manifesto - Il gabinetto del dottor Caligari - è del 1919, come questo Madame Dubarry.
Pur nella teatralità un po' caricata tipica del periodo, risulta notevole la prestazione di Emil Jannings, mentre è più leggerina - ma forse la parte lo richiedeva - quella di Pola Negri, stella del cinema muto.
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