Regia di Gabe Ibáñez vedi scheda film
Biologa in un acquario di Madrid e madre single del piccolo Mateo, Maria si concede un meritato periodo di vancanze partendo per le Canarie insieme al figlio . Durante il viaggio in traghetto però, approfittando di un momento di distrazione della madre, il piccolo si allontana e sparisce nel nulla. Dopo un periodo di inutili ricerche, viene convocata dalla polizia nella desolata isola di El Hierro per il penoso riconoscimento della salma. Inaspettatamente però la donna sembra non identificare nei miseri resti quelli del figlio, opponendo un ostinato rifiuto alla versione delle autorità ed intraprendendo una ricerca personale che la porterà alla scoperta di una verità che finisce per minarne definitivamente il fragile equilibrio psicologico.
Partendo da un prologo che rivela nel significato oscuro di misteriosi presagi naturali il senso di una dolorosa separazione dalla amniotica oscurità del grembo materno, il tecnico degli effetti digitali madrileno Gabe Ibáñez esordisce nel lungometraggio di finzione con una 'pelicula para no dormir' che riesce ad innestare nella più recente tradizione del trhiller-horror di ambientazione latina (Amenabar,Balagueró) una forte componente letteraria ed una insolita predilezione per gli assolati scenari naturali quale contraltare figurativo agli insondabili abissi della mente umana.
Abile tanto nel giocare con i dettagli di uno straniamento visivo che ne rivela l'indiscutibile talento tecnico (la scena della macchinina è da antologia) quanto con i sintomi di una progressione drammatica che oscilla continuamente tra paranoia e alienazione, questo sorprendente trhiller-psicologico dipana il bandolo di una intricata matassa lungo il duplice binario di una realtà che sembra celare nell'ambiguità dei comportamenti e delle situazioni (quella mostrata dall mdp e quella filtrata dalla soggettività della protagonista) la sua natura insieme infingarda e rivelatrice, assecondando i codici di un'arte cinematografica in cui la verità è sempre e comunque nell'occhio di chi guarda (lo spettatore, i personaggi, il regista).
Hierro (2009): Una scena del film
Hierro (2009): Elena Anaya
Thriller della paranoia e della separazione, è animato dalle suggestioni liquide di un'ambientazione insulare che richiama gli scenari ancestrali e le reminiscenze filogenetiche care a Ballard ('Prigioniero dell’abisso di corallo') quanto sporadici sconfinamenti in una dimensione onirica e allucinata che accresce le suggestioni di un cinema fantasy che guarda all'estro 'naive' e latamente misogino di vecchie glorie del cinema iberico come Jess Franco ('Las Vampiras') e alle sue donne 'fuori di testa'.
Hierro (2009): Locandina
J.G.Ballard: The best short stories
Las Vampiras (1970): Locandina
Forse afflitto da una certa incongruenza narrativa, vale molto di più per i lodevoli tentativi della sua visionaria allusività che per la credibilità delle soluzioni mostrate, compreso forse il 'coupe de theatre' di un finale melodrammatico che unisce il tragico destino di una madre inconsolabile che ha perso per sempre il suo bambino con quello a lieto fine di un'altra madre che può finalmente riabbracciare il suo. Bella e disperata la giovane madre di Elena Anaya dagli occhi grandi e luminosi, che si muove come lo spettro diafano di una creatura indifesa che vaga smarrita nei corridoi vuoti di un tragico 'Gioco di Bimba'.
Hierro (2009): Locandina
Uomo di Pezza - Le Orme (1972): Copertina
Vincitrice (con la Anaya) al Sitges- Festival Internazionale del cinema fantastico della Catalogna e nomination alla 'Camera d'Or' (per Ibáñez) al 62° Festival di Cannes del 2009.
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