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Madame Bovary

Regia di Claude Chabrol vedi scheda film

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La recensione su Madame Bovary

di hupp2000
8 stelle

Credo che nell’accostarsi a questo adattamento cinematografico dell’opera di Flaubert sia opportuno mettere da parte il proprio giudizio sul romanzo. Per quanto desideroso di restargli fedele, Claude Chabrol realizza un’opera molto personale, è costretto ad abbreviare la vicenda e non perde l’occasione di graffiare ancora una volta il moralismo e l’ipocrisia di una  certa borghesia provinciale, a qualsiasi epoca appartenga. Il film è innanzi tutto il felice risultato della fertile alchimia creatasi tra il regista e la sua più convincente interprete. Dopo “Violette Nozière” (1978) e “Une affaire de femmes” (1988), Chabrol comprende di aver finalmente trovato l’interprete ideale per il personaggio di Madame Bovary, un progetto che cova fin dall’inizio della sua carriera. Isabelle Huppert si rivela effettivamente perfetta nell’incarnare la figura di una donna ambiziosa ed egocentrica, che accetta il matrimonio solo per evadere da una vita monotona quanto inutile, che si lascia andare solo per noia ad una relazione senza futuro, che mendica affetto da chiunque, anche a costo di precipitare nella rovina se stessa e la sua famiglia. Alla sua uscita, il film riceve un’accoglienza piuttosto tiepida da parte della critica ufficiale, che gli rimprovera un certo accademismo e mancanza di spessore. Il giudizio del pubblico appare più favorevole, pur non spingendosi oltre il milione e trecentomila spettatori nelle sale d’Oltralpe. Non conosco le cifre messe a disposizione per la realizzazione dell’opera, ma si tratta evidentemente di mezzi ragguardevoli. Ricostruzioni ambientali e locations sono di gran lusso, come prezioso è il cast riunito per l’occasione dal Maestro. Oltre alla “Diva”, Claude Chabrol chiama a raccolta un gruppo di attori provati e fidati, che hanno già recitato e reciteranno ancora sotto la sua direzione. Jean-François Balmer aderisce con bravura mista a sapiente modestia al personaggio di Charles Bovary, infelice e rassegnato medico di provincia, personaggio dalla superficialità tutta borghese, uomo tradito e ingenuo. Gli fa quasi da pendant Christophe Malavoy, il principale e più rovinoso amante della protagonista, animato da passione solo fisica per la sua preda, ammaliatore cinico e disincantato, bello e bugiardo. L’attore si era fatto notare pochi anni prima nello splendido “Le cri du hibou” (1987) dello stesso Chabrol, nel quale interpretava un personaggio diametralmente opposto. Nell’ambiente dei notabili della cittadina si aggira poi la figura di Homais, il farmacista amico del dottor Bovary. Jean Yanne, vecchia volpe del cinema francese in generale e di quello chabroliano in particolare, conferisce al suo personaggio la dose di freddezza e sarcasmo di cui conosce la ricetta perfetta. Come sempre, riesce a strappare più di un sorriso, a dispetto di un ruolo tutt’altro che edificante. Un cast del genere non può che affascinare, pur dovendo fungere solo da contorno alla prestazione centrale e centralizzatrice di Isabelle Huppert. La straordinaria attrice appare impeccabile in ogni fase del racconto: fragile e ingenua all’inizio del film, nella sua modesta dimora di campagna, si trasforma in moglie affettuosa nei primi tempi del matrimonio, per poi conoscere la noia e l’assuefazione e trasformarsi infine in una donna passionale e trasgressiva. Nel doloroso finale, la sua recitazione diventa addirittura straziante. Corinne Jorry ottiene la nomination per i costumi alla cerimonia degli Oscar del 1992. Nel corso del film, la protagonista e l’intero cast indossano effettivamente abiti sufficienti per tre o quattro sfilate di moda. “Madame Bovary” sarà evocato dalla stessa Isabelle Huppert nel corso della cerimonia funebre per la morte di Claude Chabrol, il 17 settembre 2010: “(...) Mia madre morì nel corso delle riprese e, in questa prova, Claude mi accompagnò con molta delicatezza, lasciando che le dedicassi il film. Fu una vera prova d’amore. (...) Claude pronunciò questa frase, misteriosa e brutale: «non bisogna consentire a ciò che è morto di rosicchiare ciò che è vivo». Non l’ho mai dimenticata e, oggi, voglio rivolgermi ai vivi” (traduzione da “Claude Chabrol par lui-même”, Stock éditeur, 2011).

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