Regia di Xavier Dolan vedi scheda film
Enfant "terrible", ma forse non ancora "prodige", del cinema canadese francofono, l'esuberante Xavier Dolan scrive, dirige ed interpreta il suo lungometraggio d'esordio all'età di 19 anni. Dopo di questo ne ha fatti altri tre, di cui uno di ben tre ore. Temi: adolescenza problematica, amore/odio verso la propria madre, burrascose relazioni sentimentali, omosessualità, transessualità e altro ancora. Uno che intitola il proprio debutto "Ho ucciso mia madre" deve averne di fegato, anche perchè ha ammesso che si tratta di una storia con elementi autobiografici. Ricorda un po' l'astio che un altro enfant terribile, in un un'altra epoca e in un altro Paese, provava verso la figura paterna: Marco Bellocchio. E col piacentino, Dolan spartisce una certa componente psicanalitica: in uno dei vari inserti onirici che punteggiano la trama, fra tenerezza e sarcasmo, sempre con quel tono buffo e naif tipico delle fantasie giovanili, si vede il tormentato protagonista inseguire una riluttante sposa/madre (trasparente "omaggio" ad Edipo). Di primo acchito, il nume tutelare per questa surriscaldata vicenda di insofferenza domestica parrebbe essere Truffaut, cantore insuperato di infanzie/adolescenze inquiete ed ingiuste: però manca gran parte della poesia, dei voli pindarici, dei carrelli-fuga, dei pedinamenti, dei sogni cinefili che avevano fatto grande (e seminale) "I 400 colpi". Di fatto, il tempo dell'immaginazione ha i secondi contati: "J'ai tuè ma mère", forse proprio per l'urgenza che lo guida, resta un film soffocante, chiuso nelle quattro mura in cui si consuma il gioco al massacro, urlato, isterico, fra due personalità nevrotiche, figlio e madre contesi fra egocentrismo ed indifferenza. E allora, a questo punto, il referente più indicato sarebbe Todd Solondz, depurato tuttavia di ogni elemento grottesco. Dolan pare condividere con l'autore indipendente statunitense il naturalismo esasperato, la capacità di sviscerare le emozioni e i pensieri più sotterranei da un flusso di parole apparentemente fuori controllo, il crudo patetismo, l'umanesimo sofferto e raramente riconciliante come esito spontaneo di una meticolosa indagine psicologica. La forza di questo film sta tutta qui: Dolan dirige gli interpreti con una sensibilità e una misura notevole per la sua giovane età, dosando tempi e sguardi, restituendo un'idea di spontaneità, inserendo il primo piano al momento giusto per il tempo giusto e, soprattutto, per la persona giusta. Non è infatti, come potrebbe sembrare, un film completamente Dolan-centrico: ci sono sprazzi di asciutta pietas verso la madre, passione verso il fidanzato, affetto verso l'insegnante-amica. Detto questo, "J'ai tuè ma mère" sconta parecchi difetti di forma: un abbandono troppo frequente ad estetiche corrive (il videoclip, lo stucchevole ralenti alla Wong Kar-Wai, il monologo in b/n verso la mdp con inquadrature decentrate e jump cut, un finale forse troppo "lieto"), una certa ripetitività delle situazioni, una frontalità di sguardo talora troppo scontata e soprattutto una certa tendenza al "contenutismo". Forse Dolan non diventerà un nuovo inventore di forme (ma a questa età è presto per dirlo e poi mi manca la visione dei suoi film successivi), nè il suo ritratto di famiglia (disfunzionale) in un interno e di "gioventù, amore e rabbia" risulta particolarmente originale, ma la gamma di sentimenti perlustrati è degna di un Kechiche e le incursioni nel territorio immaginifico stracciano sul loro stesso terreno le derive kitsch di sopravvalutati indie-movie come "Precious": il cuore c'è, la testa pure, forse un giorno arriverà anche il cinema.
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