Regia di Xavier Dolan vedi scheda film
Film d’esordio di Xavier Dolan, al tempo ventenne, presentato con successo - e pluripremiato - alla Quinzaine des réalisateurs (Cannes 2009).
Hubert (Xavier Dolan) é un adolescente che cerca la propria identità ribellandosi violentemente, come molti coetanei, alla famiglia: nel suo caso alla sola madre separata, Chantale (magnifica Anne Dorval), che lavora tutto il giorno anche per provvedere a lui.
Egli, apparentemente, la detesta: non ne sopporta il chiacchiericcio scontato e banale, il comportamento a tavola, rumoroso e poco educato, il moralismo predicatorio, la volontà ottusa di coinvolgerlo nelle sue abitudini e nelle sue amicizie; tantomeno sopporta che lo accompagni a scuola ogni giorno guidando spericolatamente l’auto… nulla gli piace di lei, insomma, perciò vorrebbe andarsene a vivere lontano, affittando un alloggio col suo amico Antonin (François Arnaud), col quale condivide aspirazioni e gusti, nonché un affettuoso e appassionato rapporto sentimentale, che naturalmente nasconde a lei.
Anche Antonin ha una madre separata, una donna aperta ed evoluta, che, al corrente dell’omosessualità del figlio, l’ha accettata serenamente.
Hubert, però, nonostante la rabbia che esprime con grande e insolente violenza, è un ragazzo fragile, che ha un disperato bisogno di quell’ascolto intelligente che una sua insegnante, Julie (Suzanne Clément), gli aveva offerto, purtroppo senza riuscire a evitargli l’ulteriore umiliazione del collegio.
Come per Antoine Doinel, l’eroe di I 400 colpi, anche per Hubert la salvezza sarebbe arrivata dalla fuga sulla riva del mare, dove avrebbe ritrovato finalmente quella madre, che, lungi dall’aver ucciso, aveva sempre teneramente amato, pur facendola morire a parole – come suggerisce l’iperbolico ma efficace titolo del film: aveva infatti dichiarato alla sua insegnante di essere orfano… Per lui, come per tutti, il cuore è un guazzabuglio – ah, Manzoni! – inestricabile groviglio di bene e male, di odio e amore, di generosi slanci e meschinità indicibili.
Il film, molto credibile e condotto con mano sicura, si conclude, dunque, con un finale conciliante e un po’ mélo, e contiene non pochi aspetti pregevoli. fra i quali è degna di nota l’accurata indagine psicologica, che bene evidenzia le difficoltà di comunicazione fra madre e figlio, che il regista sviluppa con un realismo duro e urtante, spesso punteggiato da un ironico distanziamento, ciò che lo salva da ogni compiacimento estetizzante, non sempre assente nei film successivi.
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