Regia di Tizza Covi vedi scheda film
"La pivellina", ovvero: come imparai a non preoccuparmi di fare un film pieno di luccichii e formalismi e ad amare le persone e filmarle nella loro quotidianità e spontaneità. Sì, perchè Tizza Covi e Rainer Frimmel, coppia nella vita ed entrambi fotografi, non si pongono eccessivi problemi. Imbracciano la camera a mano, il microfono e via, insieme si lanciano a cavallo di una storia semplice, di gente comune, senza troppi fronzoli, eppure la vicenda viene curata, coccolata, rifinita e portata fino..........alla non fine. Il finale manca, lascia aperto il dubbio o la speranza (che qualcuno arrivi o che magari non arrivi?), insomma quello che ha fatto da propulsore a tutta la vicenda fin dall'inizio. E in fondo cosa importa? Ci è stata raccontata una storia di persone normali, che danno amore, che fanno del loro meglio per far andare le cose nel modo giusto, ma anche che si devono barcamenare con i problemi di tutti i giorni, con la luce che verrà tagliata se non si paga la bolletta, e con tutto quello che consegue al vivere in una specie di baraccopoli fatta da roulotte e tendoni. Trovare una bimba di due anni abbandonata (lo sarà davvero?) in un parco cittadino e sperare che tutto vada per il meglio è realistico? Chi lo sa, ma per la Covi e Frimmel, quelli che molti considerano solo degli emarginati e gente di poco valore, possono invece essere come e meglio degli altri, meglio di tutti noi che li guardiamo dalle poltrone di un cinema. Siamo dalle parti del neorealismo ma qui la recitazione di questi attori non professionisti è meno studiata (studiata e progettata dietro alla macchina da presa si intende), qui è più dialogo reale, come se capitassimo con una videocamera in mezzo ad un gruppo di persone ed iniziassimo a filmarle. Ed alla fine c'è lei, la pivellina, questa stupenda bimba di due anni (allora) che colora ogni fotogramma dell'originale pellicola Super 16 millimetri in cui il film è stato girato. Grazie Asia.
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