Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film
Gran vociare di giovani, rumori di fondo normali per un politecnico, pochi dialoghi: quello che rimane nelle orecchie, dopo l’incipit di cui sopra, sono i dirompenti colpi di un fucile automatico che non lascia scampo, all’eco che le detonazioni provocano nei saloni e nei lunghi corridoi della scuola. Una colonna sonora che fa sobbalzare.
Scusate gli errori. Avevo solo 15 minuti per scrivere.
Se oggi ho intenzione di suicidarmi non è per motivi economici, è che ho aspettato di finire tutti i miei soldi e ho rifiutato anche un lavoro. Le mie ragioni sono politiche: ho stabilito di mandare al creatore le femministe che da sempre mi hanno inasprito la vita. Da sette anni essa non mi dà più una gioia ed è per questo che ho deciso di porre fine a tutta questa squallida viragine.
In passato ho tentato di entrare nell’esercito come cadetto ufficiale che mi avrebbe permesso di entrare nell’arsenale e di precedere Lortie nella sua azione, ma mi hanno rifiutato definendomi socio-patico. Indi per cui ho dovuto attendere fino ad oggi per poter eseguire la mia azione.
Nel frattempo ho continuato i miei studi senza impegnarmi granché, visto che non mi hanno mai interessato e che sapevo quale sarebbe stato il mio destino. Questo non mi ha impedito di prendere ottimi voti, nonostante il mio stesso non-consegnare o studiare poco prima dell’esame.
Anche se i media mi etichetteranno come un tiratore pazzo assassino, io mi considero come persona erudita e razionale che è costretta ad agire con gesti estremi per l’incombere della Grande Mietitrice.
Perché perseverare ed esistere se serve solo a fare un piacere al governo? Avendo sempre avuto una mentalità retrograda per natura, eccetto per le scienze, le femministe mi hanno sempre suscitato rabbia: vogliono mantenere i vantaggi delle donne (per esempio le assicurazioni meno care, i congedi di maternità prolungati, precedute da quelli parentali, eccetera) e pure nello stesso tempo rivendicano quelli degli uomini. Se è così, allora è una verità lapalissiana che se i giochi olimpici eliminassero la distinzione uomo-donna esse alla fine parteciperebbero solo alle gare più leggere.
Da questo si evince che le femministe non lottano per rimuovere certe barriere tra i sessi. Sono talmente opportuniste che non disdegnano mai dall’ottenere un profitto dalle conoscenze accumulate dagli uomini nel corso della storia. E oltretutto cercano anche di distorcerle appena possono a loro vantaggio.
L’altro giorno ho sentito onorare gli uomini e le donne canadesi che hanno combattuto in prima linea le guerre mondiali: chi glielo dice che alle donne non era permesso di andare al fronte? Dovremo sempre sentire parlare delle legioni femminili di Cesare e delle schiave, perché loro hanno naturalmente monopolizzato il 50% della Storia anche se non sono mai esistite. Un vero “casus belli”!
Scusate se questa lettera forse è troppo concisa.
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6 dicembre 1989
Scuola Politecnica di Montreal, quando il venticinquenne Marc Lépine uccise a colpi d'arma da fuoco quattordici studentesse, per poi togliersi la vita.
Se non avete visto il film non vi preoccupate, quello che avete letto non è uno sfacciato e maledetto spoiler: è proprio l’incipit del film, che, come del resto tutta l’opera, non cerca né spettacolarizzazione dell’efferata azione di questo povero (perché sì) giovane né un racconto ad effetto che vi tenga ancorati sulla poltrona sino alla fine come un qualsiasi altro passatempo di intrattenimento da sala o da piattaforma cinefila. No, Denis Villeneuve, che l’anno seguente avrebbe girato lo straordinario La donna che canta che lo avrebbe fatto conoscere finalmente a tutti e lo avrebbe lanciato definitivamente nell’empireo più luminoso, è talmente asciutto e asettico che pare di assistere ad un documentario. A maggior ragione dal momento che il film lo ha girato in un bianco e nero che prosciuga l’anima e la mente, mentre assistiamo ad una tragedia in cui non riusciremo mai a dare un senso logico, ad una vicenda così violenta e sanguinosa che sembra un film di fantascienza e non una storia realmente accaduta non molti anni fa.
Ecco, il bianco e nero. Come un protagonista. Non dai contrasti forti, anzi. Sembra un grigio offuscato, forse per via di quella illuminazione usata in tutte le stanze di quella enorme università, chilometri di corridoi, di aule, di stanzoni per le fotocopiatrici, di aule magne e di mense e di sale studio dove a centinaia si siedono gli studenti per consultare i loro appunti. Un bianco e nero quasi sfuocato, appannato, esaltato solo dalla neve abbondante che copre il Canada prenatalizio, dove per fortuna il rosso del sangue non è rosso. Per fortuna quel liquido che esce dalle teste e dai corpi senza più vita delle studentesse non-scelte ma capitate a caso ha un colore scuro che non ci mette paura, sembra finto, sembra l’inchiostro di un calamaio da studioso che si è versato a terra e ha sporcato per sempre il pavimento pulito.
Forse è per questo che il film fa paura ma non mette paura, forse è per questo che ci lascia solo inebetiti. Villeneuve gira a 42 anni come un regista esperto eppure è solo al suo terzo lungometraggio: non è più giovane? ma guardando le sequenze viene da pensare che l’autore abbia tanta esperienza, non un novello del mestiere. Anche se utilizza con sensibilità nomi di fantasia (ma elenca nei titoli di coda tutte le studentesse uccise) cerca di scoprire insieme allo spettatore la vita privata e la psicologia di almeno tre dei personaggi della vicenda, che trama in fondo non esiste. In primis il killer (quel Maxim Gaudette che poi avrebbe richiamato per il ruolo di Simon Marwan nel capolavoro che ne seguì), pur fermandosi alle prime scene in cui la sua voce fuori campo ci esprime le motivazioni delle sue scelte, ma che ci bastano per capire la sua psiche malata e distorta. Poi c’è Jean-François (Sébastien Huberdeau), un ragazzone dal cuore tenero che si sente in colpa di non aver fatto a sufficienza per almeno limitare la strage: lo vediamo in momenti di affetto con l’anziana madre e in un tremendo momento di depressione in cui prova addirittura il suicidio. Ed infine la bellissima figura di Valérie (Karine Vanasse, la più affermata tra i tre), una ragazza per fortuna solo sfiorata dalla tragedia che nonostante il difficile recupero mentale e fisico guarda al futuro con ottimismo, almeno perché deve dare un domani sereno alla creatura che in seguito porterà in grembo.
Il domani è sempre l’ancora di salvataggio che fa sopravvivere nei momenti più bui della nostra vita, soprattutto se quel domani è rappresentato da un embrione che cresce nella futura mamma, che gli traccerà la strada della speranza. Speranza che è la portabandiera della rinascita a nuova vita.
Gran vociare di giovani, rumori di fondo normali per un politecnico, pochi dialoghi: quello che rimane nelle orecchie, dopo l’incipit di cui sopra, sono i dirompenti colpi di un fucile automatico che non lascia scampo, all’eco che le detonazioni provocano nei saloni e nei lunghi corridoi della scuola. Una colonna sonora che fa sobbalzare.
Siamo lontanissimi ovviamente dal colorato ma spietato Elephant di Gus Van Sant, dove il regista di Louisville ci racconta come nasce e si sviluppa una delle tante “ordinarie” e folli stragi di studenti e insegnanti in una delle tante scuole americane, dove spesso succede che un giovane si presenti in aula armato come se stesse in Afghanistan e porta a termine un massacro con nonchalance e determinazione alienata. No, qui siamo in un altro discorso, non c’entrano la diffusione delle armi e l’abitudine dell’americano a detenere fucili da guerra per gioco e passione oppure per la precisa volontà di difendersi in casa da persone che importunano. No. Qui il problema nasce da un’idea malsana di sessismo e di una probabile inferiorità mentale di un ragazzo a cui la vita non aveva negato le giuste opportunità di affermazione nella vita sociale: studiava in una università che gli avrebbe fornito un titolo di studio qualificato e quindi una vita di qualità. Invece quel giovane killer viveva una vita interiore tutta sua, ma con una mente deformata da ossessioni che lo condizionavano.
Film duro, durissimo, ma bellissimo, che lascia senza fiato e che mostra cosa era e cosa stava per diventare un regista sconosciuto che oggi tutti acclamano a gran voce. Denis Villeneuve mai un film banale, mai un film passato inosservato, tutti perfetti e senza la minima sbavatura, in un crescendo che lo porterà ancora più lontano.
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