Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
La Donna/Madre e la sua invincibile onnipotenza secondo Joon-ho Bong
“La relazione tra un figlio e sua madre è alla base di tutte le relazioni umane. Innumerevoli romanzi, film e programmi televisivi si sono avvicinati alla figura materna, ma io volevo esplorarla in un modo che fosse mio peculiare, funzionale a scoprire dove potevo portarla a livello cinematografico, per poi spingerla fino all'estremo.” Joon-ho Bong
Il tappeto sonoro di Byeong-ha Lee, minaccioso e martellante e a tratti dolcissimo, collabora a dare la spinta adrenalinica o un movimento delicatamente elegiaco ai passaggi di scena, e segue la protagonista, Hye-ja Kim, madre straordinaria, sintesi di tutte le madri del mondo a partire dalla brava Miriám di Nazareth di biblica memoria che sfidò le sacre leggi del suo popolo per l’ospite sacro del ventre suo.
Nulla di meno fa la madre di Do-joon (Bin Won) che non è certo Il Messia ma è carne della sua carne, poco importa che sia minus habens (uno strano minus habens con tocchi di assoluta lucidità), Do-joon va protetto, aiutato, difeso oltre ogni ragionevole dubbio.
È la missione della madre su questa terra, l’essere più amato al mondo, spesso soffocante e insopportabile, ma insostituibile e se non c’è sono guai.
È il senso della domanda accorata, fatta fra le lacrime, dalla Grande Madre di Do-joon al povero altro minus habens che si prenderà la colpa del figlio suo super protetto : “ Ma tu non hai una madre?”.
Evidentemente no, dunque nessuno lo salverà.
Ma cosa è accaduto?
In una piccola cittadina del Sud Corea è stato trovato il corpo senza vita di una giovane studentessa su una terrazza.
Appesa a testa in giù sul parapetto, lunghi capelli ciondolanti, è una di quelle visioni/colpo di scena e tuffo al cuore per cui Joon-ho Bong va famoso e Polanski più Hitchcock benedicono da lontano.
Do-joon è stato visto aggirarsi da quelle parti, è un noto sbalestrato, ai poliziotti frettolosi e di dubbia professionalità non serve molto di più, il ragazzo finisce dietro le sbarre in attesa di giudizio.
Scatta a questo punto l’indagine di madre courage a cui importa solo liberare il figlio, se sia colpevole o no è cosa che non la riguarda, lei è al di là del bene e del male, fino all’esito della vicenda nulla può fermarla, e dire nulla vuol dire neppure l’acqua, il fuoco, gli elementi primordiali alleati contro.
Riuscita nel suo intento si acqueta e se ne va in una specie di gita premio intitolata “Grazie mamma” dove altre simpatiche mammine cantano e ballano felici nel corridoio del pullman.
Potenza dell’humor di cui Joon-ho Bong è maestro, un film dalle venature horror vira al quotidiano con garbo e leggerezza.
Un attimo di indecisione e poi anche la nostra madre detective sarà della truppa, missione compiuta, il figlio è salvo, la vita va avanti.
La vena comica di Joon-ho Bong è superlativa perché si nasconde, fa capolino fra le pieghe oscure del thriller, va scoperta.
Un indizio è nell’incipit che si chiude ad anello nel finale.
In un giallo campo di stoppie (o forse altro vegetale, bisognerebbe sapere cosa si coltiva in Corea) la nostra eroina arriva in modesto tailleur a pieghe e accenna passi di danza, si vede che è tranquilla, come appagata.
Manca solo uno stormo di corvi neri che si alzino in volo e genio e follia celebrerebbero ancora i propri fasti.
Dopo dodici anni il film, quarto dell’autore, è arrivato il 1 luglio 2021 nelle sale italiane, distribuito da PFA Films ed Emme Cinematografia.
Uno dei più belli di Joon-ho Bong, bisognava che gli Oscar al miglior film e alla miglior regia per Parasite, decisamente inferiore benchè di ottima fattura, gli aprissero la strada.
Tra primissimi piani e campi lunghissimi, accelerazioni e ralenti, suspence e colpi di scena il mix è perfetto, come un abile direttore d’orchestra Joon-ho Bong accorda con sapienza tutte le sezioni dell’ organico orchestrale e travolge la platea.
Il focus sulla donna/madre è un tocco di genio, il tema femminile che metta in campo la maternità con tutte le sue pieghe, gli orrori e i dolori, il mistero e la grandezza, è inevitabilmente uno dei modi migliori di proporsi.
Questa madre coreana vende erbe, radici e spezie e pratica l’agopuntura senza licenza.
Siamo in uno dei quartieri tipici di un mondo orientale dove l’appartenenza di classe è legata al denaro, e in Parasite l’abbiamo visto molto bene.
Dunque interni degradati, pub fumosi, strade intasate da sporcizia e traffico caotico, se piove diventano acquitrini. Il figlio si è formato qui e vive con la madre con cui divide anche il letto, che è poco più che una cuccia.
Il legame tra madre e figlio è viscerale, si potrebbe dire primordiale, animalesco quasi, lui con mezzo cervello sempre propenso a mettersi nei guai, lei protettiva, pronta a scattare in difesa come l’animale che difende i suoi cuccioli, lo guarda pisciare contro un muro in una scena che basterebbe da sola a raccontarci tutto sul concetto di maternità sfoltito da tutte le sovrastrutture della civiltà.
Do joon ha l’età giusta per sentire il richiamo del sesso, e poiché i bravi ragazzi di strada lo prendono in giro per la sua goffaggine decide di darsi da fare.
La malcapitata è organica all’ambiente degradato in cui si vive, dedita nonostante la giovane età a incontri sessuali con un po’ tutti, ha deciso proprio ora che Do joon si è messo all'opera di esserne stufa.
L’intreccio del thriller a questo punto s’infittisce, Joon-ho Bong ci mette sulla buona strada per poi sviarci continuamente, fino alla fine non sapremo cosa è veramente accaduto, anche se il film semina indizi a iosa.
“Madre è un film dove tutte le forze convergono verso il cuore delle cose. Avere a che fare con la figura materna è un déjà vu, ma vedo questo film come un nuovo approccio e spero che venga percepito anche dagli spettatori come qualcosa di familiare ma estraneo" ha detto il regista.
Familiare certamente sì, estraneo forse, si spera sempre che il proprio figlio non ammazzi nessuno!
www.paoladigiuseppe.it
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