Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Do-joon (Bin Won) è un ragazzo sempliciotto, un bambino nel corpo di un adulto, con qualche problema di disadattamento sociale ma sostanzialmente inoffensivo. Jin-tae (Ku Jin) è il suo unico amico, un bullo che si diverte a prenderlo in giro ma che è anche disposto a difenderlo quando è il caso. Vive un rapporto di morbosa esclusività con la madre (Hye-ja Kim), una donna dall'aspetto mite che passa intere giornate nel suo negozietto a tagliare rami secchi e a praticare in segreto l'arte antica dell'agopuntura. Un giorno viene trovato il corpo senza vita di una ragazza e i sospetti ricadono subito su Do-joon, accusato del brutale omicidio a causa di una pallina da golf trovata accanto al cadavere. La madre si rifiuta di accettare questa verità e dopo aver capito che per la polizia il caso è da ritenersi chiuso e che l'avvocato ingaggiato per il processo non sprecherà molto del suo prezioso tempo per difendere lo "scemo del villaggio", si mette da sola alla ricerca del vero assassino e scagionare così il figlio.
"Mother" di Joon-ho Bong è un film di raffinata bellezza, sull'amore di una madre che è disposta a tutto pur di preservare il figlio da un infausto destino, anche a sfidare l'inconfessabile evidenza dei fatti. E' percorso lungamente da una sensazione di morbosa carnalità, rinvenibile sia nel rapporto totalizzante che intercorre tra madre e figlio, che nella marcata deriva sessuale che caratterizza la vita dei giovani sudcoreani. Nessuno dei personaggi di questo film è totalmente immune da colpe, gravi o piccole che siano, ognuno proietta verso l'esterno una disturbante sensazione di inadeguatezza, come di chi si muove innanzitutto per salvaguardare dal buio che avanza ciò che di buono si ritiene esserci nella propria precaria esistenza. Sono soprattutto i più deboli a farne le spese maggiori, quelli che si attaccano alla solidità delle cose di ogni giorno come fanno i rami col tronco d'albero e che per non essere spazzati via sono disposti a convivere col rimorso di un nuovo segreto da custodire. E' una figura fortemente tragica la madre (emblematicamente senza nome), delineata come pochissime volte mi è capitato di rinvenire nel cinema dell'ultimo decennio, con l'ambiguità dovuta a chi può recare danni per troppo amore, oscillante tra la giustificata attenzione per un figlio disadattato e i misteriosi artifici di una personalità d'altri tempi. Una donna che manipola la verità cercando di veicolarne il senso nella direzione imposta dal suo cieco amore per il figlio, che si concede al presente giocando col destino delle persone e praticando attraverso il "potere" antico dell'agopuntura la sottrazione dei "cattivi ricordi" che albergano nella storia dolorante di ogni uomo. Il film si concentra interamente su di lei (superba l'interpretazione di Hye-ja Kim) e il suo punto di vista diventa quello su cui tende a concentrarsi l'attenzione di chi guarda, l'unico possibile, perchè diretta promanazione di una figura onnipresente. Quello di una madre gelosa dell'amorevole isolamento filiale, persuasa che il male stia sempre da un'altra parte, che la verità di un omicidio non possa avere il volto di chi è abituato a vedere il mondo dal basso della sua grezza ingenuità. Per questo, quando dalla sua indagine personale emerge la natura lasciva della ragazza uccisa e il fatto che molti dei suoi amanti occasionali potrebbero essere stati i potenziali assassini, si convince ulteriormente che la condizione esistenziale del figlio risulti essere un motivo sufficiente per dichiarare l'estranietà del ragazzo dalla generale dissoluzione dei costumi, idonea per preservarlo dalle tentazioni della carne e per rafforzare il rapporto simbiotico istaurato tra di loro nel segno di una rinnovata complicità. Un punto di vista necessariamente parziale, che parte dall' assoluzione acritica di una possibile colpa per arrivare alla dolorosa segregazione di altre verità rivelate. Grande film.
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