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Madre

Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film

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Marcello del Campo

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La recensione su Madre

di Marcello del Campo
8 stelle

Il termine “scena madre” è entrato nel lessico del cinema (ma anche della letteratura e del parlare comune) come il punto di maggiore addensamento dell’opera, il fulcro sul quale ruota una narrazione o una rappresentazione. Ci sono “scene madri” in tutti i film che hanno meriti estetici ragguardevoli, ma non i tutti. In Seven, tanto per fare un solo esempio, la scena della scoperta della testa mozzata di Gwyneth Paltrow e l’urlo di Brad Pitt è di una crudeltà insopportabile: da quel momento il film ha un’accelerazione del climax e il corpo dello spettatore produce adrenalina.

Esiste un bel saggio, Scene madri a cura di Bernardo Bertolucci, Enzo Ungari e Donald Ranvaud (edito da Ubulibri nel 1987) nel quale si analizzano, come dice il titolo, i film più rappresentativi su questo argomento.  Questa breve nota mi aiuta a indicare alcune madri nel cinema.  La madre più famosa è Nilvona Vlasova nel film di Vsevolod Pudovkin del 1926, tratto dal famoso romanzo di Gorkji; l’interprete Vera Baranowskaja è la madre di tutte le madri a venire, emblema della Rivoluzione, la madre genitrice del cambiamento, pronta al sacrificio del figlio.

La madre Gleb Panfilov, tratto dallo stesso romanzo, con Inna Ciurikova, del 1990, attenua, anzi taglia la carica drammatica dell’insuperabile film di Pudovkin e offre una madre del post-disgelo, senza nerbo, svenevolmente gorbacioviana.

Nel film Madre e figlio di Aleksandr Sokurov (1997), Gudrun Geyer rappresenta la madre liberata dall’ideologia: è la mater matuta dipinta (Sokurov è un genio della ‘partitura’ filmica) nell’astrattezza visiva dell’anamorfosi. In questo capolavoro, madre e scena vivono in simbiosi per sessanta minuti. Come Arca Russa è ‘il Museo’, Madre e figlio è la perfetta icona della “scena madre”: il lessico del cinema elevato a metafora dello stesso.

Madeo è la madre del linguaggio comune. 

Bong Joon-ho dà, in questo bellissimo film presentato a Cannes due anni fa, una lezione di stile-classico. Niente effetti speciali, nessun narcotico avatariano, la camera non fa le acrobazie, inquadra in campi lunghissimi (che da un pezzo non si vedevano) una piccola Madre Courage che indaga sull’omicidio di una ragazza del quale è stato accusato il figlio ritardato Doo-Jun (grande interprete Bin Won che era protagonista in Taegukgi hwinalrimyeo - Brotherhood of War, 2004 di Jin-seok Lee). Mother può competere con le altre grandi madri della storia del cinema. Il regista, insieme a Chan Wook Park e a Kim Ki Duk, meriterebbe maggiore fama. L’indagine è complessa come in Zodiac di David Fincher, perché dal particulare di un fatto di cronaca, si allarga ai putridi meandri di una civiltà della legalità fatta di avvocati, magistrati, uomini di potere corrotti in una società permanentemente feudale.  Bong Joon-ho ci riconcilia con il cinema-cinema, tenendoci con il fiato sospeso per due ore fino alla rivelazione finale che getta una luce fosca sui legami di sangue.

Chi ha visto Memories of Murder e Host troverà una conferma delle grandi doti stilistiche e di scrittura di Bong Joon-ho. La madre (la superba, inarrivabile Hye-ja Kim) mi ha ricordato la Katina Paxinou di Rocco e i suoi fratelli, la madre mediterranea che regge sulle fragili spalle il peso del mondo .

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