Regia di Frank Henenlotter vedi scheda film
Combinazione over the top (eufemismo) fra il filone “puppetry” e il vetusto procedimento del “passo uno”, “Basket Case” è stato accolto freddamente dalla critica e non vanta di grandi nomi nel cast, però si è piazzato indelebilmente nell’immaginario horror. Dopotutto lo scopo del semi sconosciuto Frank Henenlotter era quello di far felice la nicchia attraverso lo show di una raccapricciante carneficina, in un low-budget dal linguaggio screanzato e dalla sceneggiatura sommaria. Il soggetto, sicuramente, non si presentava astruso: il ventenne Duane Bradley (Kevin Van Hentenryck), dall’aria innocente, se ne va in giro per la 42° portando un misterioso cesto di vimini. All’interno si cela un freak informe, crepuscolare, il quale ha un legame di simbiosi telepatica con Duane e divora qualsiasi ostacolo che vincola l’affettuosa intesa tra i due (compreso, ovviamente, il gentil sesso). Sulle prime Duane sa gestire l’atroce mostro dalla garrula voce, traendone persino vantaggio nelle vendette personali; la situazione, purtroppo, gli scivolerà di mano… Epidermici sottotesti sulla morbosità di una società snob e perfezionista sono vagamente ravvisabili durante i feroci omicidi aventi come vittime, in parecchi casi, la classe medica. Detto in soldoni: in “Basket Case” si assiste ad un massacro puramente voyeuristico indirizzato agli amanti del gore e dello splatter più kitsch (che avranno pane per i loro denti e non saranno delusi dalla virulenta kermesse di tremendi delitti). Certo, la recitazione si attesta su livelli quasi amatoriali (le comparse danno l'impressione di essere state pescate casualmente dalla strada e lo stesso Van Hentenryck non è granché), i riempitivi di scrittura non mancano e le pretestuosità del contesto vengono esumate in ogni côté della storia. Tuttavia la pellicola funziona grazie a sfiziosi elementi da b-movie, quali la scafata animazione in stop-motion (okay, spesso si nota che la creatura è chiaramente un pupazzo, ma il design mefitico rimane disgustoso e conturbante), la cosmesi dai nitidi contrasti, grondante di tonalità “acide”, e una creatività stimabile nella dinamica delle ferali uccisioni (da antologia l’incursione notturna nello studio sanitario, il crivellamento facciale, e il sanguinoso assassinio nella cantina). In definitiva questa bobina in 16 mm vanta di quella formula che non guasta mai, la quale consiste in un concentrato di follia, paura e sollazzo. Prendere o lasciare?
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