Regia di Tsai Ming-liang vedi scheda film
Commissionato dal Louvre, e girato nei suoi ambienti, interni ed esterni, Visage è l’ultimo film di Tsai-Ming Liang realizzato in 35mm. Ed è la reinvenzione di un luogo sacro della cultura, una commedia umana cinéphile, comica e malinconica, una pellicola terminale che balla sui sepolcri di un tempo perduto (quello salutato da Goobye, Dragon Inn), un film-museo che è un gesto d’amore (come Che ora è laggiù?) per Truffaut e per il cinema tutto. Per i suoi spettri, e i suoi riflessi, soprattutto. Come un ultimo, apocrifo e scostante capitolo della saga di?Antoine Doinel, con Léaud stanco e sfatto come in Il pornografo di Bonello, ma chiuso in un oltre, alienato in un dolce delirio senile, e Fanny Ardant, Jeanne Moreau, Nathalie Baye, che gli girano intorno. Tutti se stessi, con anni di film e storie segnate nel volto, tutti opere d’arte e memoria, tutti interpreti di un film di Lee Kang-sheng, da sempre alter ego di Tsai: una nuova Salomé, con Laetitia Casta che canta e balla in aperture musical kitsch uscite da The Hole, ma nel dietro le quinte cerca di coprire con il nastro adesivo specchi e finestre, come a fare a meno della luce e dell’immagine, delle copie riflesse e delle porte aperte sul mondo, come a fare a meno del cinema. E Tsai gira proprio come se abitasse l’aldilà di un mondo scomparso, in cui sono le icone amate, i visage, le storie che si portano dietro a contare. Non le trame, i discorsi, ma solo i sogni, i fantasmi, le aure.
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