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Enter the Void

Regia di Gaspar Noé vedi scheda film

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La recensione su Enter the Void

di lino99
8 stelle

Un magnifico "melodramma psichedelico", come lo ha definito il regista

Il film si apre con dei titoli di testa magnifici, confusionari, frettolosi e stereoscopici, che rendono lo spettatore quasi epilettico e lo catapultano attraverso la parola "Enter" (entrare) in una vicenda che definire insolita sarebbe un eufemismo: infatti troviamo il giovane Oscar, spacciatore che riempe le sue giornate "vuote" (void) con trip psichedelici e, tra le altre, con la sua droga preferita, la Dtm. Un giorno di questi, dopo una di queste esperienze, sperimenta proprio l'argomento tanto citato dal suo amico Alex, ovvero ciò che avviene dopo la morte secondo i tibetani: la reincarnazione. Il protagonista, a causa di un tragico incidente per l'improvviso arrivo della polizia durante i suoi sporchi affari, si ritrova così a fluttuare nel cielo di Tokyo, coinvolgendoci in un percorso della sua triste vita e mostrandoci cosa accade ai suoi conoscenti subito dopo il tragico avvenimento, attraverso una concitata visuale dall'alto, che ci permette di passare da un palazzo all'altro, da muro a muro, da strada a strada. Il primo aspetto che rende questa pellicola un (quasi) capolavoro è l'esplicito desiderio del regista, l'argentino Gaspar Noé, di eliminare ogni stereotipo, ogni elemento che il pubblico potrebbe definire "già visto", grazie ad uno stile originale e molto personale, sempre in una vera soggettiva, non come i mockumentary, ma prima volendo quasi far diventare lo spettatore protagonista, mediante anche la chiusura delle palpebre, facendolo quindi immedesimare nella fase allucinogena, che mai sarebbe uscita così bene se il regista non avesse davvero fatto uso di queste sostanze (si vede che c'è la mano di uno che non è nuovo alle sostanze stupefacenti), e in seguito buttandoci nel passato, nel presente e nel futuro di questo uomo, che ovviamente riserva una vita burrascosa, nella solitudine e nel tentativo di cacciarla con l'aiuto dell'affezionata sorella Linda. Un presente in cui Oscar è un essere onnisciente, un fantasma completamente libero ma allo stesso tempo vincolato dalla ricerca di risposte, un passato visto con sé stesso di spalle e un futuro incerto, ancora da scrivere, nella speranza di non entrare in un circolo vizioso e anzi di rompere le proprie (troppe) sofferenze. Un comparto tecnico tra l'altro molto efficace e innovativo, con inquadrature ricercate e difficili da realizzare, ottenute attraverso delle grù. Di considerevole lunghezza, tanto che la versione originale è di 163 minuti, mentre in quella italiana manca mezz'ora, ma pur sempre col massimo divieto, a causa delle numerose ed esplicite scene di sesso e dell'utilizzo di droghe, e a mio parere anche del fastidio che potrebbe causare a qualcuno nella visione, soprattutto per le lunghe sequenze psichedeliche. Gli attori protagonisti, Nathaniel Brown e Paz de la Huerta, sono esordienti e l'intricata sceneggiatura è del regista, con la collaborazione di Lucile Hadzihalilovic. Un'esperienza cinematografica da vivere, che non apprezzeranno tutti ma che comunque non può non rimanere impressa.

 

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