Regia di Gaspar Noé vedi scheda film
Prendere o lasciare. Pochi altri film rientrano senza alcuna esitazione in questa scivolosa categoria come "Enter the void". 140 minuti di soggettiva di un personaggio, Oscar: i suoi ultimi 30 minuti di vita, in tempo reale, e poi la sua esperienza post-mortem. E quando parlo di "soggettiva", la intendo in senso assoluto. Ogni tanto, l'inquadratura diventa nera per una frazione di secondo: sono le palpebre di Oscar che battono. Noè ci trasporta nella mente e nello sguardo di un giovane pusher, facendoci addirittura visualizzare i contenuti di un suo trip lisergico! Dopo la sua morte violenta, il film non diventa altro che una lunga O.B.E. (Out-of-Body-Experience): lo spirito di Oscar vede il suo cadavere dall'altro, dopodichè si sballotta a velocità supersonica da un quartiere all'altro della città (una Tokyo letteralmente allucinata, psichedelicamente trasfigurata, vista dall'alto), scoprendo lo straziante "aftermath" della sua dipartita sulla sorella, gli amici tossici, l'amante etc..., ricordando episodi della propria tragica infanzia (l'incidente mortale dei genitori; il patto di sangue con l'adorata sorella di "non lasciarsi mai, nemmeno dopo la morte") fino a proiettarsi in un futuro, neanche troppo lontano, in cui la sorella fa l'amore con un suo amico e, presumibilmente 9 mesi più tardi, dà alla luce un pargoletto, in cui lo spirito di Oscar decide di reincarnarsi, tenendo fede quindi alla promessa fatta alla sorella. Il film è tutto qua. Non c'è molto spazio per letture alternative, ambiguità, sottigliezze, sottotesti etc...Tutto il film altro non è che un gigantesco (ed avvincente) esperimento di forzatura dei limiti "sensoriali" del linguaggio filmico; un inno retorico ad un misticismo "tecnocratico" e al potere puramente virtuale dell'esperienza extra-corporea; un pezzo di bravura indubbiamente riuscito. Ma anche, per paradosso, una presa di coscienza della impossibilità di abbandonare questo mondo (come viene riferito in un dialogo del film): Oscar, dopo la sua morte, non vaga in trip surreali, ma rimane a vegliare, impotente, sulla propria sorella (il cui profondo legame affettivo è sottolineato dalla proposizione, in un soundtrack dominato da "kosmische musik", di una celeberrima aria di Bach). "Enter the void" è quindi un film sorprendentemente pessimista sulla possibilità di una vita migliore dopo di questa: il post-mortem è solo un incubo in cui l'anima entra ed esce in continuazione da tutti i "void" (vuoti) generati dagli oggetti circolari (ma anche da un feto abortito), che divengono campi gravitazionali per risucchiare spiriti girovaghi. "Enter the void" è quindi "visionario" solo all'apparenza. In sostanza, Noè rifiuta le libere associazioni di un Malick o di un Reygadas, le loro aperture di senso: la O.B.E. di Oscar, cinematograficamente e drammaturgicamente, si risolve nel più classico dei flashback esplicativi, fino al falso "colpo di genio" finale della reincarnazione nel nipote. Soluzione ampiamente prevedibile: tutti gli indizi portano ad una visione pan-sessuale della vita (l'allattamento del poppante, accostato dal montaggio alla prima esperienza sessuale; la scoperta di un amplesso dei genitori, parallelo a quello di due amici in una discoteca; la mamma di un amico come amante; il rapporto con la sorella, all'insegna di una velata sessualità spontanea come quella infantile; lo spirito di Oscar che, letteralmente e per ben due volte, entra nella testa di chi sta scopando con sua sorella per provarne le sensazioni etc...), per cui il modo più puro per Oscar di "restare sempre vicino alla sorella, anche da morto" era necessariamente reincarnarsi in suo figlio. Tutti i personaggi sono meccanicamente funzionali al racconto, che altro non è che il resoconto di morte, post-mortem e reincarnazione di una persona. Resta tuttavia un'opera da vedere senza riserve, per la sua singolarità e l'encombiabile tour-de-force audio-visivo che ci porta addirittura all'interno di una vagina, ad assistere ad una fecondazione e ad un parto! Per non parlare di Oscar riflesso allo specchio, inquadratura "impossibile", all'insegna di un esibizionismo tecnologico-digitale che lascia letteralmente a bocca aperta.
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