Regia di Gaspar Noé vedi scheda film
Sei su un terrazzino e guardi i palazzi che hai davanti. Sei a Tokio, insieme a tua sorella. Siete tutte e due molto giovani. Tua sorella ti saluta ed esce. Ti siedi sul divano, prendi un po’ di DMT e lo metti in una piccola pipa. Accendi e fai alcuni tiri. Ti stendi. Iniziano a formarsi sulla parete del tuo cervello figure geometriche dai colori brillanti, spazi tridimensionali caleidoscopici. Squilla il cellulare, rispondi. Cazzo, devi uscire. Proprio nel bel mezzo del trip. Suonano alla porta ed è un tuo amico, scendete insieme e ve ne andate in un locale.
Qualcuno ti ha sparato. La tua anima inizia a staccarsi da te. Libera.
Nel Libro tibetano dei morti viene narrato che cosa succede dopo la morte, un tuo amico ti racconta che potrebbe essere il viaggio più incredibile di tutti.
Il tuo corpo giace sanguinante nel cesso di un locale. Ti hanno ammazzato.
Gaspar Noè conduce lo spettatore all’interno di un’esperienza psichedelica unica e sconvolgente. Il cinema diventa una sostanza allucinogena e un modo per fare esperienza diretta degli effetti che derivano dall’assunzione. Le immagini e i suoni sono oltre le normali soglie della percezione. Le distorsioni visive, le basse frequenze sonore continue, i passaggi da una sequenza ad un’altra attraverso forme ripetitive, i vortici visuali della macchina da presa. Una volta usciti dal corpo del protagonista osserviamo tutto dall’alto, voliamo sopra le case, le discoteche, le strade. Il flusso narrativo è completamente alterato. Passato, presente e futuro si fondono in continuazione. Nei flashback siamo dietro le spalle del protagonista, sempre. Come un doppio, un’ombra. Come una scimmia sulla sua schiena. Come l’anima che vede il suo corpo da fuori e non riesce a rientrarci. Esperienze mistiche. I neon di Tokio, le sue luci impazzite contribuiscono a immergere lo spettatore in un turbinio visivo straniante, come la visuale dall’alto che ci offre un punto di vista nuovo e spiazzante.
Esaltato dalla propria alterazione Gaspar Noè ricostruisce il mondo attraverso la sua continua trasformazione, una messinscena che sottrae ogni appiglio allo spettatore scaraventandolo in un viaggio sinestetico ad un passo dalla follia. Perché il regista finisce per voler varcare non solo le porte della percezione ma anche quelle della morale e allora speculare al superamento dei limiti imposti dalla nostra mente ci sono anche quelli stabiliti dall’etica. Lo sguardo di Noè non è più solo allucinato, ma anche immorale. Non si ferma davanti a nulla. Censura il fuoricampo in nome di una visibilità totale. Feti sanguinanti raschiati da una vagina, scene di sesso orgiastico all’interno di un hotel, pornografia, la punta di un cazzo che penetra una fica, lo sperma che inonda la macchina da presa e che scende verso l’utero.
Enter the void cattura il nostro sguardo perché mostra le possibilità che si nascondono oltre le barriere della normalità ma è anche un viaggio senza ritorno, l’ottundimento dei sensi ci trasforma in bestie. Spacciatori, drogati, pittori, spogliarelliste, mogli ninfomani, un’umanità malata e guasta. Incesto, aborto, morte. Le droghe psichedeliche dovrebbero essere per pochi. Non per lo sballo e il divertimento ma un modo per compiere una ricerca.
Prima di tutto, dentro di noi.
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