Regia di Gaspar Noé vedi scheda film
In molti pensano che quando si muore, si voli. Tuttavia, nessuno può fare a meno di considerare la propria morte come un passaggio, o meglio, un viaggio. Un viaggio nel vuoto, per alcuni, verso un’altra dimensione per altri. Su questo viaggio, ora terreno e pur tuttavia assolutamente metafisico, si snoda la storia del regista argentino Gaspar Noè.
La storia è ambientata nell’extrailluminante e illuminata Tokio, dove Oscar, tossicodipendente, deve incontrare il suo spacciatore Victor, in un malfamato locale, conosciuto come “The Void”, per consegnargli alcune dosi di droga. Dopo aver fatto uso di stupefacenti e ancora stordito dal recente viaggio, Oscar, si incammina verso il locale, accompagnato da Alex, un amico eroinomane che gli ha appena prestato “Il libro tibetano dei morti”, che descrive le varie fasi che attraversa l’anima cosciente prima di reincarnarsi. Giunti al locale, Oscar scoprirà che Victor lo ha incastrato e, nell’istante in cui la polizia irromperà nel locale per arrestarlo, riuscirà a rifugiarsi nei bagni e a liberarsi della droga. Tutto ciò non basterà, perché un colpo partito da una delle pistole dei poliziotti lo ucciderà. Così, mentre all’esterno, Alex avvertirà Linda, la sorella di Oscar, che il fratello è morto, all’interno del locale Oscar, o quella che dovrebbe rappresentare la sua anima cosciente, scruterà dall’alto il suo stesso corpo, esanime, riverso nel sangue e fluttuando in una sorta di stato extra-corporeo, intraprenderà un viaggio, tra lo psichedelico e il mistico. Durante questo viaggio gli sarà mostrato il passato e il presente, per portarlo in un’altra dimensione, che si rivelerà un nuovo inizio.
Ad otto anni dal controverso Irreversible e a quasi due anni dalla data di uscita europea di quest’ultimo film di Noé, ecco un altro lavoro discusso, difficile da rimuginare e ‘digerire’, sulle droghe, reincarnazione e misticismo, un altro film che evidentemente, sulla stessa strada del Malick di The Tree of Life porta il pubblico del cinema verso quelle nuove esperienze percettive che attingono dal cinema e sconfinano nella video arte e nell’Arte a trecentosessanta gradi. Perché il regista sacrifica tutto ciò che rappresenta il canonico lavoro da grande schermo, come, per esempio, può essere la caratterizzazione dei personaggi, i non sempre proficui flashback, per far coincidere la visione lisergica e psichedelica, affianco al protagonista. Tutto in soggettiva, dal di dentro, da vivo e/o da trapassato, al modo di come solo il grande Julian Schnabel aveva fatto con Lo scafandro e la farfalla (2007).
Enter the Void è un film che si odia o si ama. Non ci sono vie di mezzo che giustifichino la sua estrema originalità, che però, essa stessa, può rappresentare l’evidente limitazione. L’opera di Noè supera di gran lunga l’esperienza del Requiem for a dream (2000) di Aronofsky, soprattutto in fatto di suggestioni, che vanno ben oltre il convenzionale. Siamo ben oltre gli effetti di tre passi nel delirio, perché più che di passi, qui è un vero e proprio viaggio verso l’allucinazione, che conduce lo spettatore in nuove dimensioni. Fra narrazione, video-arte, sin dai titoli di testa, si stabilisce un chiaro rapporto sadomasochistico con chi è dall’altra parte dello schermo. E’ evidente che lo stesso regista, di cui sappiamo la sua giovanile esperienza con i diversi allucinogeni, è egli stesso diretto protagonista, di quanto si vede e vive attraverso lo schermo. Pare che durante la stessa preparazione di questo film si sia inoltrato nella giungla peruviana, dove ha sperimentato su di sé gli effetti di un infuso vegetale psicoattivo, noto come ayahuasca, in cui il principio attivo è la DMT (dimetiltriptamina) e che viene considerato legale riguardo al suo utilizzo enteogeno.
Nel film, tutto è su-rreale: dalla macchina da presa, che vola, passa e trapassa muri e abitazioni, controlla dall’alto tutto quello che accade, fra le zone d’ombra e poi illuminate a giorno di una Tokio essa stessa alterata. Ottimo anche il lavoro musicale che accompagna le immagini. Noé inizialmente ha chiesto a Thomas Bangalter (Daft Punk), che già aveva composto la musica per Irréversible, di creare una colonna sonora originale per Enter the Void, ma ha dovuto declinare. Come compromesso ha fornito a Noé una composizione di suoni ambientali e campioni esistenti di musica sperimentale da cui Noé ha creato quello che ha immaginato come “un vortice di suoni” ispirandosi in parte alla composizione Revolution 9 dei Beatles. E, in generale, tutta l’operazione è tale. Rivoluzionaria.
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