Un abile truffatore, capace di intrufolarsi nelle opportunità offerte dai capitolati d’oneri di gare d’appalto per grandi lavori pubblici, si imbarca quasi casualmente in un’impresa superiore alle sue forze. Fattosi passare per tale Philippe Miller, alto funzionario di una multinazionale che ha deciso di riprendere dopo due anni di sospensione la costruzione di un tronco autostradale, viene accolto a braccia aperte dalle autorità locali, dalle aziende presenti sul territorio e dalla gente comune, che spera in un immediato miglioramento del proprio livello di vita. Il progetto poggia sul vuoto, ma la macchina burocratico-industriale si mette in moto. Sfuggirà di mano al suo ideatore, ma un’intera comunità ed egli stesso ne usciranno profondamente trasformati. Incredibilmente, la vicenda narrata è tratta da un fatto realmente accaduto e sembra per vari aspetti una storia italiana. Il finto direttore dei lavori sfrutta astutamente gli ingranaggi burocratici dell’impresa, ottiene tangenti spontanee da tutti i fornitori e subappaltatori locali, gioca su fidi bancari, prestiti, dilazioni nei pagamenti, ecc. ecc... François Cluzet (che mi ricorda sempre più Dustin Hoffman nella fase più felice della sua carriera) offre una ennesima quanto memorabile prestazione attoriale nel dar vita ad un personaggio tutto d’un pezzo, disonesto e visionario. Il suo folle accanimento nel portare avanti un’impresa votata al fallimento rievoca la testardaggine e la disperazione cannibalesca di Klaus Kinski in “Fitzcarraldo” (1982) di Werner Herzog. In competizione al Festival di Cannes nel 2009, il film non ottiene alcun riconoscimento, ma l’anno successivo Emmanuelle Devos è incoronata migliore attrice non protagonista nella cerimonia dei “César”. Un premio meritato. Il ruolo di sindaco coinvolto nell’impresa, di donna solare e idealista ma con i piedi saldamente in terra le calza a pennello. Seria e sensibile, riesce a far scricchiolare la corazza emotiva del temerario protagonista. Il regista Xavier Giannoli conferma la sua capacità di raccontare sentimenti umani profondi e mai scontati all’interno di film movimentati, snelli nel loro svolgimento e cosparsi di figure secondarie ben descritte e credibili. Qui, ritrova Gérard Depardieu, protagonista nel 2006 dell’elegante e sottile “Quand j’étais chanteur”, ma gli assegna un ruolo minore. Appare all’inizio del film in veste di corpulento ricettatore, un personaggio degno di Orson Welles o Marlon Brando. Esce di scena per buona parte del film, ma quando rispunta, anche se per pochi minuti, buca lo schermo e si imprime automaticamente nella memoria. Passato inosservato in Italia, consiglio vivamente la scoperta di questo appassionante racconto, peraltro assai istruttivo sul funzionamento di certi meccanismi e automatismi delle nostre società.
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