Regia di Jacques Audiard vedi scheda film
Non professa alcuna religione, Malik El Djebena, protagonista di Il profeta, e arriva nell’altromondo del carcere quasi senza un’identità. Pressoché analfabeta ma non per questo un bruto, finisce nella sfera d’influenza di un boss che lo tratta come il Dio del Vecchio Testamento, imponendogli un sacrificio e pretendendo fedeltà senza spiegazioni. Audiard non ritiene il suo un film mistico, e anzi vuole raccontare le gesta eroiche di persone comuni (per questo l’articolo determinativo – contro l’indeterminativo originale – è uno stupido adattamento), ma non manca di apparizioni né di un sogno premonitore, inoltre richiama passaggi evangelici come i giorni di Gesù nel deserto. Aleggia così un alone di mistero sulla pellicola, evocando possibilità di senso ulteriori, interrogazioni sfuggenti come quel «ci sei?» che Malik si chiede allo spegnersi della luce o l’ultimo, malickiano, sguardo verso la luce tra le fronde dell’amico Ryad. C’è poi il rapporto anomalo e originale con il sottogenere carcerario, in cui il protagonista è solitamente una vittima che ritrova dignità sfuggendo alla malavita, mentre qui Malik l’abbraccia e impara a navigarne le più insidiose correnti. Inoltre c’è la scelta di un eroe arabo, coraggioso ma che conosce la paura, intelligente, laico e aperto a imparare (persino il dialetto còrso). Anticonvenzionale è anche la messa in scena, con luce naturale, sonoro scabro e riprese in macchina a mano che mimano la realtà, contrappuntate da brevi inserti di musica quasi classica, da carrelli e montaggi più tradizionali e dal parziale oscuramento di alcune inquadrature, quasi una sorta di iride da cinema muto che il regista chiama «mano negra». Audiard, arrivato al quinto film (ma i primi due in Italia sono poco noti), padroneggia la tecnica senza esserne schiavo e guida con mano sicura un cast inesperto – fa eccezione l’ottimo Niels Arestrup, nel ruolo del boss còrso – alla messa in scena della (stra)ordinaria ascesa di un uomo, straniero tra due mondi che finisce per trascendere.
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