Regia di Jacques Audiard vedi scheda film
Una maturazione, quella in divenire nel giovane Malik nel carcere, uno sviluppo non certo positivo, ma sporco, determinato dalla necessità di sopravvivere, di non soccombere nella giungla multirazziale di un microcosmo atroce e cinico. L'intelligenza e la scaltrezza, la discrezione e l'attenzione, l'istruzione e la gavetta, lo porteranno a prevedere, a capire i meccanismi, al di sopra degli altri; la violenza è la base, ma la sua forza sta forse nel non soccombere nemmeno alla violenza assoluta: lo dimostra la sua sensibilità non sopita nonostante tutto, la sua fedeltà all'amicizia e alla fratellanza.
In questo film la prigione è una metafora della Francia. [...] in prigione si ricreano, esasperati, i meccanismi sociali, psicologici, etnici, religiosi, di classe che condizionano la nostra vita sociale. [...] è un film di genere. [...] Non volevo fare un documentario, né un film di denuncia. La metafora sociale sta nei fatti: i personaggi sono musulmani, arabi o africani, la nuova delinquenza - è un fatto statistico, non una dichiarazione razzista, basta entrare per cinque minuti in un carcere francese per rendersene conto. (J. Audiard) 8
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