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Il profeta

Regia di Jacques Audiard vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il profeta

di Furetto60
7 stelle

Bel dramma carcerario, intenso e brutale. Prova attoriale maiuscola

Malik El Djebena,è un diciannovenne francese di origine magrebina,completamente analfabeta; dopo aver trascorso l'adolescenza tra riformatori e orfanotrofi, il ragazzo, ormai maggiorenne, viene arrestato, per tentata rapina e condannato a una detenzione di ben sei anni, in un vero carcere “lager”. L’impatto con quell’ambiente “giungla”, è traumatico; lui è giovanissimo, non ha familiari o amici, in più viene preso di mira dal leader della gang corsa César Luciani, che di fatto governa l’istituto, facendo il bello e il cattivo tempo; viene dunque obbligato da costui, a compiere l’omicidio dell’arabo Reyeb, figura divenuta scomoda per i criminali di quella gang. Malik prova a sottrarsi a questa prova del fuoco, ma non trova sponda neanche nelle guardie, che perlopiù sono al libro paga di Luciani, non c’è niente da fare o la vita sua o quella di Reyeb; viene cosi addestrato dai còrsi, per eliminare la vittima designata; col pretesto di fornire una ”prestazione sessuale” s’introduce nella sua cella e dopo una colluttazione estremamente cruenta, Malik riesce con una lametta, nascosta tra le gengive, a tagliare la carotide dell’arabo, facendolo morire dissanguato, in una sequenza molto impressionante. Così guadagna la protezione di Cesar e dei suoi scagnozzi, naturalmente è solo l’inizio; Luciani affida a Malik svariate missioni da compiere. Dopo le prime incertezze il giovane, mostrando una forza d’animo inaspettata e un forte istinto di sopravvivenza, riesce a ritagliarsi un suo posto al sole, riscuotendo il rispetto degli altri detenuti e del capo; nel frattempo frequenta la scuola, imparando a leggere e a scrivere. In seguito, grazie alla buona condotta, Malik ottiene il permesso di uscire per mezza giornata dal carcere, cogliendo così l'occasione di capovolgere il suo destino, diventa una sorta di collegamento tra il mondo esterno e quello della prigione: un compito delicato, ma che svolge costruttivamente, anche se con qualche accidentale inciampo ,favorendo anche l'amico Jordi detto “lo Zingaro", uno spacciatore che ha bisogno di lui, per i suoi  loschi traffici. Malik inizia la sua scalata al potere, giocando più volte d’astuzia, conquistando prestigio e fiducia, fino ad un machiavellico doppio gioco finale, in cui si affranca definitivamente dal suo mentore e ne prende virtualmente il posto. Il regista Jacques Audiard,  dribblando  i cliché del genere, ci cala in una dimensione più intimistica; gli stereotipi vengono accantonati, appannaggio di una estrema concretezza,  la narrazione è sobria, diretta con cruda verosimiglianza, nelle lunghe claustrofobiche sequenze in carcere, con una scelta perfetta del cast, basti ricordare che molti degli “attori” sono dei veri delinquenti, ingaggiati dal regista, per colorare di realismo il prodotto cinematografico. Su tale canovaccio Audiard, come già aveva dimostrato di sapere fare in precedenza, allestisce una pellicola dall’estetica fredda e rigorosa, inserendo anche delle  piccole, ma interessanti incursioni nella psicologia di Malik.
Gran premio della giuria a Cannes, vincitore del BAFTA come miglior film straniero, candidato all’Oscar nella stessa categoria.

 

 

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