Regia di Andrea Arnold vedi scheda film
Adolescente inquieta e ribelle, Mia vive in un quartiere popolare dell'Essex insieme alla madre, superficiale e irresponsabile, ed alla sorellina più piccola. Espulsa da scuola ed interessata solo alla danza hip-hop, trascorre le sue gionate fuori casa tra un allenamento e le passeggiate lungo gli squallidi sobborghi di una periferia desolata e degradata. Quando il nuovo aitante e premuroso amico della madre inizia ad interessarsi a lei ed alla sua passione per la musica, le sembra di aver finalmente trovato una figura di riferimento maschile cui avvicinarsi con interesse e fiducia. Ma questa sarà per lei l'ennesima e cocente delusione.
Interessata tanto ad un paesaggio urbano che dimostra di conoscere a menadito, quanto al realismo sociale di una messa in scena che sembra tallonare da presso la giovane protagonista femminile (camera mobilissima, frequente uso della soggettiva, prevalenza di campi medi e stretti), la regista inglese Andrea Arnold sembra avere bene assimilato i capisaldi di un cinema europeo che strizza l'occhio al morboso interesse che il pubblico festivaliero riserva alle storie esemplari di emarginazione e (falso) riscatto e che trova nei fratelli Dardenne o nel cinema di Loach (quest'ultimo certo, in senso più politico) i suoi ideali punti di riferimento.
Coraggiosa nel rischiare un casting dove tra i più noti ed emergenti protagonisti del cinema britannico (Fassbender e Wareing) si affida il ruolo di protagonista ad una ragazzina debuttante reclutata per caso in stazione mentre litiga col fidanzatino (Katie Jarvis), la Arnold dimostra e mostra più interesse per la credibilità del contesto sociale e l'attendibilità psicologica dei personaggi che per il valore pure esemplare che la storia sembra affidare ai simbolismi che affiorano qui e là come segni premonitori di un racconto di formazione fondato sullo sradicamento familiare e l'inevitabile tentativo di fuga in avanti (la cavalla da liberare, la musica come paradigma di un improbabile riscatto personale, la difficile iniziazione sessuale, i campi lunghi che traguardano l'orizzonte lontano di un mondo chiuso come una 'gabbia per pesci', il predibile epilogo di un abbandono del focolare domestico).
Chiuso in questo 'linguaggio da strada' che asseconda il rigore di una messa in scena minimale e l'uso pure spartano e marginale della colonna sonora intradiegetica (una insolita versione rhythm & blues della California Dreamin' dei Mamas and Papas), il film della Arnold rischia l'appiattimento su di un ritmo eccessivamente dilatato (123 minuti possono stancare) e la criteriata scelta di picchi drammatici che deviano dalle consuete logiche narrative all'insegna della prevedibilità melodrammatica (dalla perdita della verginità sul divano di casa ad un ratto dell'infante andato a buon fine). A conti fatti il film sembra trovare la quadra tra credibilità del registro e velleità autoriali, convincendo tanto i membri del 62º Festival di Cannes che gli attribuiscono il Premio della Giuria quanto quelli dell'Accademia Britannica che gli consegnano il BAFTA come miglior film. Così è (se vi pare)
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta