Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Un grande film di denuncia sulla prigionia politica.
Un grande film di denuncia sulla prigionia politica.
È però un film doppio: alla prima ora, noiosa e stereotipata, con parti lunghe in modo assolutamente inutili, fa seguito la seconda ora e rotti, strepitosa quanto purtroppo, ma doverosamente, dolorosissima. A una prima parte da cinque segue una seconda parte, un po’ più lunga, da almeno nove, secondo me.
Bellocchio si mostra qui incapace nelle scene erotiche, peraltro inadatte a questo genere di film storico-drammatico: è inutile amplificare così la Mezzogiorno mentre ansima, ma nel prosieguo il regista piacentino si riscatta, e alla grande.
È innanzitutto uno strepitoso film contro la prigionia politica, più che solo su Mussolini. S’innesta in modo interessantissimo su un brano di storia reale e scottante, non importa se e quanto romanzato: l’episodio è del tutto verosimile. “Vincere” è un attacco al totalitarismo: il potere iniquo che uccide la felicità autentica e la verità, e quindi l’umanità, e lo fa in modo inesorabile, imbattibile. Tanto che l’alternativa è: da una parte arrendersi e vendere la dignità e la libertà; oppure dall’altra parte vedersi derubati di tutti i sacrosanti diritti umani e di tutti i diritti, quindi, alla felicità, e financo morire.
Chiaro è l’attacco alla Chiesa cattolica: qui (come innumerevoli volte è accaduto) questa ha dato sostegno alle pratiche più orrende solo per ordine ricevuto dall’alto. E dall’alto ovviamente i suoi vertici hanno contrabbandato questo mercimonio penoso con altri vantaggi. I festeggiamenti delle suore ai patti lateranensi sono chiari.
Oppressione disumanizzante da parte di potere e di religione: queste sono cifre fondamentali di Bellocchio, proprio come la denuncia della repressione del “diverso”, di colui che non si omologa alla verità fatta passare come ufficiale, che è stata pressoché sempre falsa (e occorrerebbe a tutti impegnarsi affinché la verità proposta da “un potere” sia rispondente al vero, e non rispondente al falso: in democrazia si potrebbe tranquillamente, ma non è quasi mai successo).
L’ospedale psichiatrico è l’ambiente meglio valorizzato, ben più della lotta politica, che è stata resa molto meglio da altri registi, come ad esempio Bertolucci in “Novecento”, o Risi di “Marcia su Roma”. Ma, nel confronto con la sofferenza mentale, Bellocchio lascia intendere una grande comprensione umana, e quindi seria compassione, nei confronti dei “derelitti”. Questi ultimi sembrano molto meno colpevoli dei vincenti, in quel caso così realmente osceni sotto il profilo morale, come i fascisti. Ma lo stesso discorso farei per quello che han fatto le dittature comuniste, che han creato danni non certo minori: ci si perdoni se si cade nell’ovvio , ma si sa che il solo Mao ha fatto almeno 70 milioni di morti nei campi di detenzione dei dissidenti politici. Non minori crimini hanno commesso i suoi colleghi dittatori comunisti, come certo non meno colpe hanno avuto i dittatori di destra, ugualmente acclamati dalle folle. Ma anche se i dittatori di destra sono stati ancor più ingiustificabili dei dittatori comunisti, per evidenti motivi, ciò non toglie l’incongruenza: se si è democratici, socialisti … non si può far nulla contro i diritti umani, mai.
Non a caso, il film ha la sua impennata da quando mette in scena la violenza, quella fascista, appunto ingiustificabile, quella verso cui non si può mai non essere contrari, a pena di rendersi correi di tremendi delitti, anche solo con l’omertà: il giovane psichiatra insegna, ma tanti sono i comprimari che il film mostra che hanno potuto far carriera necessariamente anche tramite il favoreggiamento ai crimini. Tale favoreggiamento ai crimini è stato costruito anche in modo studiato attraverso i balbettii, le finte dimenticanze, le omissioni (le tre scimmiette insomma, che in Italia hanno purtroppo contribuito a creare in modo ferreo “l’accesso a numero chiuso” per i soldi e il potere, con gravissimo malincuore delle persone serie).
Dal punto di vista psicologico, lo scavo è impressionante e di primissimo livello. La pazzia, creata ad arte, di madre e figlio sono perfette e veritiere. Sceneggiatura, scenografia, recitazione, colonna sonora sono splendidi, così come una fotografia perfin superba. La recitazione della Mezzogiorno è da Oscar.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta