Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Vincere è un film sulla moglie prima riconosciuta e poi sconfessata da Benito Mussolini. È un film sulla donna, Ida Dalser - tenace, caparbia, ostinata, passionale - e sulla sua pervicace voglia di lasciare una traccia ai posteri non solo della sua esistenza (è lei, in fondo, a vincere), ma anche e soprattutto della storia d’amore con colui che, in seguito, diventerà il Duce. È un film sul figlio nato da questa unione, Benito Albino Mussolini, strappato alla madre e rinchiuso in un istituto prima e in un manicomio dopo, esattamente come accaduto a Ida. Ma Vincere è, prima di ogni altra cosa, uno straordinario, superbo, maestoso film sulla comunicazione, sulla forza dei media, che ai tempi contaminava e contagiava attraverso la stampa, la radio e il cinema (non dimentichiamoci che fu Mussolini a creare Cinecittà e, insieme a Lenin, il primo statista a credere nelle potenzialità della Settima arte). E di conseguenza, forse il più riuscito film su Silvio Berlusconi, sull’icona che lo precede e lo segue e, spesso, lo sopravanza. È, ancora, un film sul cinema, media sì vecchio ma nel quale Bellocchio crede sempre moltissimo (basterebbe la scena di Ida che s’arrampica sull’inferriata dell’ospedale psichiatrico dove è tenuta segregata mentre fuori nevica copiosamente, per legittimarlo ancora nei secoli dei secoli), sulla sua memoria (molteplici le sequenze di altre pellicole, tra le quali spicca Il monello di Chaplin; e le citazioni subliminali, come quel volto che tanto assomiglia alla Giovanna d’Arco/Renée Falconetti di Dreyer) che regala memoria anche alla Storia e all’importanza di ricordarla (Bellocchio proietta immagini sull’acqua, sui soffitti, nelle sale, ovunque). Vincere, in sostanza, è un capolavoro imperioso, dal ritmo e dal montaggio (di Francesca Calvelli) futuristi, con una smagliante fotografia di Daniele Ciprì che rimanda al miglior Matarazzo (Vincere è anche uno struggente mélo), e una colonna sonora da Oscar (firmata da Carlo Crivelli) mixata in perfetta osmosi con un comparto di effetti sonori rari da rintracciare in un’opera italiana. Tutto Bellocchio in poco più di due ore (la psichiatria, la suggestione dei personaggi che fanno la Storia, il confronto con il cattolicesimo e il clero, le idee rivoluzionarie...) in un film da Cinema Muto spavaldamente urlato, come se I pugni in tasca di 44 anni fa si fossero improvvisamente rianimati per scagliarsi contro ciò per cui vale la pena di nuovo combattere e contestare. Avvolti nello stato di grazia del regista di Buongiorno, notte, Giovanna Mezzogiorno e Filippo Timi sono magnificamente devastanti.
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