Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
COME RENDERSI DETESTABILE NON FACENDOSI PIACERE VINCERE
Vivere di rendita dopo I pugni in tasca, film peraltro invecchiato male nelle cantine del "rosso antico", è stata la strategia vincente della lumaca Bellocchio, un regista a scartamento ridotto che anche questa volta mi ha fatto scappare dalla sala dopo il primo faticoso primo tempo (una sana abitudine che conservo solo a beneficio del Nostro: ho ancora fissi su di me gli sguardi degli spettatori e le antifone che mi giungevano per telepatia, 'come si fa a lasciare la sala in questo modo ineducato, volgendo le spalle al Moro-padre-Herlitzka mentre, martire risorto in forma di simbolo e anatema, si muove terreo nel traffico romano?').
La risposta franca è che Bellocchio pre-Fagioli e post-Fagioli, fatta eccezione per L'ora di religione, film miracolato da un guizzo che i numi non fanno mancare a chi si ostina a fare il regista, è una macchina cinematografica asfittica e tenebrosa come certe nottate feuerbachiane in cui non solo le vacche ma anche lo schermo di un cinema è tutto nero.
Vincere [“Un capolavoro imperioso”, recita la scheda di FilmTv] è l'approdo definitivo a un barocco mortuario che aveva fatto capolino trent'anni fa nell'insostenibile Salto nel vuoto, opera di grevi tessuti murali cremisi e carta da parati, ambientazione prossima ai negozi di vespilloni insonni in attesa del morto imminente: ricordo con gelo, che giovane trentenne, sarei rimasto secco sulla poltrona se la mia ragazza non mi avesse trascinato seco, mormorando ‘Ehi, svegliati... Bellocchio ti fa male!'.
Vincere è il trionfo della non-volontà di fare cinema, un ibrido, ossedente inno all'inconsistenza che aspira a farsi significante e deperisce nella palude del trovarobato di tutte le avanguardie passate, triturate in un minestrone indigesto fatto delle frattaglie dell'uber-kitch care anche al cantore di Baària.
Se i critici e i saggi saggisti del blog che hanno speso parole in libertà per cantare una o due volte l'appeal del manufatto funesto, avessero tra le dita e lo palpassero, il polso di Bellocchio, si accorgerebbero con orrore che l'autore è morto da un pezzo.
Vincere rappresenta da solo, in maniera esemplare, la morte anche del cinema italiano, un cinema-zombi, un ghost-cinema che utilizza brandelli di Senso, matarazzate, montaggio caotico, messaggi eidetici degni di Minoli, cascami di retorica tanto a un chilo, reiterazione al risparmio di amplessi duceschi che l'autore immagina dovessero essere assolutamente dorsali e ringhiosi, il tutto incorniciato in una melassa musicale che, royalties alla mano e persistenza di minimalismi nymaniani deve essere costata più di quanto siano stati remunerati gli occhi sgranati come unica, minimalistica anch'essa, espressione della Mezzogiorno o il ringhio maschio-predappiano dell'esoftalmico per necessità Filippo Timi.
Un pasticcio tale non si era mai visto, un film inutilmente tale, neppure; e dire che per cantare messa all'unisono si sono unite le forze armate della critica a pagamento e gli innumerevoli utenti cui si deve il rispetto della diversità di opinioni. E quanto a diversità ne ho visto poca, tranne tre/quattro eccezioni, gratificate da commenti tipo 'adesso te lo spiego io il genio Bellocchio', nemmeno si stesse parlando di Sua Maestà Ejzenstejn. Ma per favore!
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