Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Storia vera (ma con alcuni punti ancora oggetto di discussione) di Ida Dalser, la trentina che diede un figlio a Mussolini nel 1915 e ne fu poi abbandonata. Fin dall’inizio c’è qualcosa di eccessivo, di distorto: è una vicenda di amour fou asimmetrico, dove lui risponde alla cieca e totale dedizione di lei con un viscido opportunismo; il gesto di vendere tutto (casa, negozio, ogni altro avere) per finanziare il giornale che lui vorrebbe fondare ha qualcosa di abnorme, che lascia intravedere uno squilibrio mentale. Infatti, man mano che il film procede, Ida si dimostra vittima non tanto della ragione di stato, che pure la sballotta da un manicomio all’altro e che le sottrae il figlio, quanto delle proprie ossessioni megalomani: non smette mai di sognarsi a Roma, nei palazzi del potere accanto al duce, e non appare mai veramente simpatica. Sembrerebbe potenzialmente più interessante il personaggio del figlio, con la sua pericolosa immedesimazione nella figura paterna (di cui, istigato dai compagni di scuola, imita le movenze e la parlata), ma resta poco tempo per svilupparlo; e la notizia della sua morte in una clinica psichiatrica, affidata alle didascalie finali, arriva inattesa. Qualche perplessità anche sulla gestione degli attori: la Mezzogiorno è sempre lei, negli anni ’10 come nei ’30, mentre Timi sparisce repentinamente per lasciare posto alle immagini di repertorio con un Mussolini che non gli somiglia affatto.
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