Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
All'inizio il mito del fascismo è un seducente abbaglio di grandezza, un'improvvisa luce capace di perforare l'inquieta nebulosità del primo Novecento. Liberarsi dall'opprimente grigiore di poteri polverosi diventa un impulso irrefrenabile, una spinta propulsiva disposta ad impugnare, pur di farsi largo, qualsiasi tipo di bandiera. La virilità è lo sfogo dell'energia cinetica celebrata dal futurismo, che si manifesta nell'irruenza retorica e nella voglia di combattere, con la marcia come simbolo della vita che si fa avanti con vigore, ad inseguire il tempo che rapidamente fugge. Il giovane Mussolini incarna lo spirito dell'epoca in modo veemente e dominante, trascinando ogni cosa intorno a sé in un vortice di amore cieco, in cui si fondono sottomissione e ribellione. In questo film, una fotografia grigioazzurra che sa di metallo, fuliggine e inchiostro, sottolinea la poesia meccanica delle macchine, dei cannoni e delle rotative, in cui l'uomo è uno strumento funzionale all'ingranaggio bellico. La spettacolarità è affidata alla pregnanza delle icone forti, che sono i ritratti immortali del dolore e della volontà, ingigantiti dalla potenza immaginifica del cinema. Ciononostante, l'atmosfera resta cupa e opaca, a causa della mancanza di calde tinte naturali, in questa storia affollata di armi ed uniformi, pietre e cenci, camici e tonache. L'aspra foga del Ventennio prorompe prepotentemente anche dalla tragica vicenda di Ida Dalser, prima moglie di Mussolini, da lui successivamente rinnegata insieme al figlio per sposare Rachele Guidi. Il suo è il dramma disperante dell'ideale tradito che lacera il cuore, è il sangue sacrificato alle ragioni politiche, è il fuscello travolto dall'onda oceanica della Storia. La parola VINCERE che, nella prima parte del film, è battuta a caratteri cubitali sui manifesti, nella seconda parte è tracciata con le lacrime sui volti. Marco Bellocchio, in quest'opera, ha la decisa sensibilità di un litografo, che incide artistici ricami sulla materia dura e, a furia di stridori di scalpello, riesce a strappare un gemito anche alla pietra.
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