Alla vigilia della prima guerra mondiale, la vita apparentemente tranquilla degli abitanti di un paesetto della Prussia Orientale era stata sconvolta da una serie di eventi inattesi, alcuni dei quali di efferata crudeltà, che avevano fatto emergere un’insofferenza profonda nei confronti del sistema di valori intorno ai quali la piccola comunità si era organizzata.
Il barone e il pastore luterano erano da sempre considerati i fondamenti della vita del villaggio: dal primo dipendeva il lavoro e il sostentamento delle famiglie; dal secondo provenivano gli insegnamenti morali che, indicando a tutti la strada della salvezza, rendevano possibile la convivenza operosa e ordinata della comunità.
L’educazione crudelmente rigorista impartita ai figli, aveva creato nella famiglia del pastore un’aria irrespirabile, e provocato nei bambini odio sordo e ipocrita doppiezza, nonché quel desiderio di rivalsa che era stato all’origine, probabilmente, di molti degli oscuri episodi violenti che il film rievoca attraverso la voce narrante del maestro della scuola locale, che ricostruisce, ormai vecchio, gli eventi misteriosi che lo avevano impressionato e coinvolto e che non avevano trovato risposta, perché il sopravvenire della grande guerra aveva spazzato via di colpo la decrepita gerarchia sociale fondata sull'arbitrio e sul fanatismo religioso derivato da una delle possibili interpretazioni del luteranesimo pietista.
Nonostante l’ossessiva ricerca dell’innocenza (simbolicamente rappresentata dal nastro bianco imposto ai propri figli dal pastore, dopo una buona dose di frustate, ma anche dalla neve che posandosi su tutto il villaggio sembrava quasi ricoprirne l’inconfessabile degrado morale), i fondamenti di quelle autorità avevano da un po' cominciato a traballare: ne avrebbe fatto, per il primo, le spese un terzo autorevole personaggio, il medico, da qualche tempo vedovo, uomo sadico, padrone assoluto delle donne della sua casa: dell'infemiera-amante, sua complice in molte nefandezze innominabili, nonché della propria figlia, nei confronti della quale esercitava un’incestuosa violenza.
Se sia possibile scorgere un nesso fra quella gerarchia sociale rigidamente fondata sull’idolatria dell’obbedienza all'autorità e gli sviluppi della storia tedesca, che nei decenni successivi era approdata al nazismo, è la domanda all'origine della lunga gestazione del film, come nel corso di numerose interviste ebbe a dichiarare Haneke e come, all'avvio del film si chiede l’ormai anziano maestro del luogo, che facendo riemergere dall’oscurità del passato, le scene a cui, sgomento, aveva assistito da giovane, si chiede se fatti come quelli che racconterà possano fornire una plausibile spiegazione dei futuri sviluppi della storia tedesca.
A mio avviso il legame, sia pure lontano, è innegabile poiché, se è vero che molteplici furono le cause dell’affermarsi del nazismo nell'Est della Prussia, è altrettanto vero che in un ambiente umanamente così povero e spietato come quello descritto nel corso del film il nazismo avrebbe trovato un ottimo humus per crescere e diffondersi.
Anche in questo film - realizzato nell'insolito e bellissimo bianco e nero, prodotto dalla de-saturazione della pellicola originaria - come nei suoi precedenti, Haneke indaga sul male, sulle sue origini e sulle sue possibili conseguenze con l’impassibilità di uno scienziato che ne prende perciò stesso implicitamente le distanze, chiarendo - pur senza mostrarcene gli aspetti più truculenti - che la violenza più sordida e ripugnante è contro le donne, i piccoli e tutte le creature più fragili, che non possono o non sanno reagire ai soprusi.
Recensione postata su Mymovies il 20 agosto 2010,
riveduta e riscritta per questo sito.
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