Regia di Michael Haneke vedi scheda film
Non amo i film storici, o d'ambientazione, o troppo letterari, e questo ne è un esempio; tuttavia il sottile gioco dei simbolismi, le atmosfere inquietanti e la trama da enigma poliziesco mi hanno intrigato. A ben guardare, con un poco di commento musicale (magari barocco) ed un bianco e nero più livido, maggiormente contrastato, questo film avrebbe potuto benissimo avere la regia di Lars von Trier, sia per i contenuti crudi ed espliciti, sia per il paradossale alternarsi emozionale.
La storia è abbastanza semplice. La voce narrante di uno dei protagonisti accompagna il racconto di un anno di vita di un agreste borgo germanico, dominato e salariato da una ricca famiglia aristocratica. Le feste di passaggio delle stagioni, le cerimonie religiose, il medico di campagna, la scuola con un solo maestro, gli animali, i bambini, i pascoli ed i campi di grano, gli uomini forti e le donne devote, la città lontana. Ad un tratto, però, qualcosa di oscuro minaccia questa quiete bucolica, in modo imponderabile e strisciante, forse come solo ogni evento ineluttabile sa essere. Come reagiranno i diversi personaggi, che cosa verrà svelato, o in maniera molto più sottile e indicibile... non sarà più latente ?
Fortunatamente ci viene risparmiata la consueta antologia degli orrori della "buona vecchia fattoria", dalle macellazioni degli animali alla sessualità castrata e stranita ad un tempo, dalle agonie da medicina medioevale alle prepotenze dei feudatari; anche se qualche pennellata non può mancare (il disprezzo patriarcale, l'evirazione dei sentimenti, la censura di ogni sensualità).
Il bianco e nero ben si accompagna al procedere dello scontro frontale tra la luminosa, esasperata, socializzata mancanza di ogni "peccato", e l'orrida, buia, inarrestabile evoluzione dei crimini che si susseguono. Quasi a significare un confronto tra ciò che era (il conosciuto, il noto), e ciò che sarà (l'indecifrabile, l'esplosivo), il conscio e l'inconscio, la vita e la morte, la pace e la guerra.
Non può stupire che la psicanalisi sia nata alla fine dell'ottocento ed abbia visto i natali della tecnologia e della guerra al suo massimo potenziale. Nè che proprio la filosofia tedesca, luterana e calvinista, abbia mosso due guerre al resto del mondo, quasi in un tentativo di autodistruzione, com'è quello del piccolo borgo teutonico.
Una volta tolto il nastro bianco dell'innocenza (e quindi del perdono), tutto e tutti possono essere colpevoli; e forse l'unico a potersi salvare (l'anima) è chi ha potuto godere di un unico, casto, momento di bellezza.
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"Haneke si pone di fronte alla realtà illeggibile di un panorama umano di vizi privati e pubbliche virtù sotto la coperta pesante del perbenismo" (il Morandini) e ci presenta un mondo crudele e calvinista perfetto terreno di coltura per la "follia nazista"
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