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Il nastro bianco

Regia di Michael Haneke vedi scheda film

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La recensione su Il nastro bianco

di Mathiasparrow
6 stelle

Germania, anno 1913. Mancano parecchi lustri all’ascesa hitleriana ma lo scenario de Il nastro bianco già induce qualcuno a parlare di pre-nazismo; è il caso di fermarsi, fare un passo indietro e scordare un attimo quella fetta di Storia per concentrarsi su ciò che il film narra e non gli eventi che precede. Questo villaggio sperduto non è una sconcertante rivelazione, a ben vedere: si tratta della classica piccola comunità che nasconde i propri peccatucci dietro una vestaglia di bigotteria. Un luogo che vari cineasti del passato hanno visitato più volte, spesso con intenti simili a quelli di Haneke. L’autore austriaco si cala in questa collettività chiusa e riservata con l’evidente intento di andare a fondo dell’ostilità che la caratterizza, e fin dal principio si percepisce una cosa: i segreti destinati ad emergere non saranno piacevoli. Il regista ha le idee chiare, si affida come di consueto alla sua freddezza per tenere a distanza lo spettatore: vuole costringerlo a provare fino in fondo l’impotenza di fronte ai fatti che narra, annegarlo nel candore di quel nastro ipocrita. Tutto ciò gli riesce solo parzialmente: il male emerge con poco vigore attraverso corpi di personaggi che già abbiamo visto e stravisto in passato (prete e medico sono quasi macchiette) e da confessioni facilmente intuibili. Solo qualche raro momento riesce a trasmettere dolore, ma nel complesso si soffre veramente poco e la freddezza non pugnala allo stomaco, nemmeno nei tratti più crudi. Haneke non sembra rendersi conto che il suo è un mero lavoro di riciclaggio tematico privo di innovazioni. Di farina del suo sacco ce n’è poca anche in ambito puramente tecnico: riallacciarsi a Bergman non aiuta, semmai il paragone evidenzia ancor di più l’indolenza del cineasta austriaco. Guai a parlare di film inutile o superfluo, ma non si tratta certo della rivelazione shock dell’anno. Di condanne all'assolutismo se ne sono viste tante; questa non rientra affatto fra le più incisive e sconvolgenti.

Sulla trama

quel che sembra dire fin dal principio si consolida col passare del tempo. Nulla di nuovo. Può fregiarsi di alcune scene splendide, ma sono sempre briciole se paragonate alla durata totale.

Su Michael Haneke

regia classicheggiante, fotografia bergmaniana. Incanta a sprazzi, ma ripete cose già dette. Bisognava essere più glaciali, estremi, e qualcosa del film sarebbe senz'altro cambiato.

Su Susanne Lothar

molto brava

Su Ulrich Tukur

più che discreto

Su Burghart Klaußner

buona prova

Su Josef Bierbichler

non male

Su Marisa Growaldt

brava pure lei

Su Janina Fautz

ancora piccola, ma già in gamba.

Su Michael Kranz

ottima prova

Su Jadea Mercedes Diaz

particina

Su Steffi Kühnert

brava

Su Sebastian Hülk

senza infamia e senza lode

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