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Il nastro bianco

Regia di Michael Haneke vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il nastro bianco

di FABIO1971
10 stelle

"È un progetto al quale stavo lavorando da oltre dieci anni. Il mio obiettivo principale era di presentare un gruppo di bambini ai quali vengono inculcati degli ideali considerati assoluti e il modo in cui li assimilano. Se si considera assoluto un principio o un ideale, che sia politico o religioso, questo perde umanità e porta al terrorismo. Avevo pensato, come titolo alternativo, a La mano destra di Dio, perchè i bambini del film applicano alla lettera questi ideali e puniscono quelli che non condividono al 100%. Il film non tratta solo di fascismo - un'interpretazione fin troppo semplice, visto che il racconto è ambientato in Germania - ma di un modello e del problema universale dell'ideale deviato".
[Michael Haneke]

Una comunità protestante e rurale della Germania settentrionale alla vigilia della Prima Guerra mondiale: la voce off del maestro del villaggio (doppiato nella versione italiana da Omero Antonutti) rievoca una misteriosa ed inquietante vicenda risalente agli anni della sua giovinezza:
"Non so se la storia che voglio raccontarvi corrisponda a verità in tutti i suoi dettagli. Molte sono le parti che conosco solo per sentito dire ed ancora oggi, dopo tanti anni, ci sono misteri rimasti insoluti e numerose domande rimaste senza risposta. Tuttavia penso sia mio dovere raccontare le strane vicende accadute nel nostro villaggio perchè esse potrebbero in parte chiarire alcuni processi maturati nel nostro paese. Tutto ebbe inizio, se ben ricordo, con l'incidente di cavallo del dottore: dopo la lezione di dressage nella tenuta del barone, il dottore stava tornando a casa per visitare eventuali pazienti. Arrivato allo spiazzo davanti alla casa, il suo cavallo aveva urtato contro una fune poco visibile, tirata tra due alberi. La figlia del dottore aveva visto l'incidente dalla finestra, aveva chiamato la vicina, che aveva informato l'intendente. Alla fine il dottore, ferito, con dolori atroci, era stato trasportato all'ospedale in città, a più di trenta chilometri di distanza. La vicina di casa, una donna sola di 40 anni, faceva la levatrice: da quando la moglie del dottore era morta di parto, ella era diventata per lui indispensabile, sia come governante che come sua infermiera".
L'incidente del dottore, però, passa subito in secondo piano quando il giorno successivo la moglie di un contadino muore nella segheria del barone. Anche in questo caso si tratta di un episodio poco chiaro: la donna, menomata da una ferita ad un braccio, era stata dispensata dal lavoro nei campi dall'intendente della tenuta e le era stato assegnato un incarico meno gravoso nella segheria, dove però è caduta accidentalmente mentre raccoglieva il materiale di scarto. Presto le attività del villaggio tornano alla normalità e, arrivata l'estate, i due incidenti sono stati già dimenticati. Poi, improvvisamente, scompare Sigi, il figlio del barone. Dopo una notte di ricerche il piccolo viene ritrovato: "Era nella vecchia segheria, legato, bocconi, a faccia in giù. Aveva i pantaloni calati e il sederino sanguinante per i colpi di verga: sembrava sotto shock, non riusciva a camminare e dovettero trasportarlo al villaggio, sdraiato sul ventre, sopra una barella di fortuna". Il barone, furibondo, caccia la bambinaia Eva e il precettore, colpevoli di non aver adeguatamente vigilato sull'incolumità del figlio, minacciando gli abitanti del villaggio: se, infatti, non verranno scoperti i colpevoli, si rischierà di perdere la pace nella comunità. Il principale sospettato, il figlio della contadina morta, che già aveva danneggiato per vendetta le coltivazioni del barone, si rivela, però, innocente. Il maestro, intanto, invaghitosi di Eva, tenta inutilmente di convincere il barone a riassumerla come bambinaia: il suo racconto fuori campo rievoca anche il motivo del ritorno del dottore nel villaggio dopo la sua lunga convalescenza in ospedale ("Dopo la scuola mi recai alla tenuta per informarmi sulle condizioni di salute di Sigi e per intercedere in favore di Eva. Mi fu detto che la baronessa era partita quella mattina con i bambini. Riluttante, l'intendente mi prestò un calesse per accompagnare Eva a casa. Mentre uscivamo dal villaggio, incrociammo il dottore. Pochi giorni dopo la festa per la fine del raccolto, suo figlio Rudolph, di 4 anni, era improvvisamente scomparso: il fatto aveva destato grande agitazione, dopo i recenti avvenimenti. Alla fine il bambino era stato ritrovato lungo la strada maestra che, non certo in abbigliamento da viaggio, con passo deciso puntava verso la città. Interrogato sulle sue intenzioni, aveva detto di voler far visita a suo padre: per non essere riportato a casa si era dibattuto come una belva! Il dottore, venuto a conoscenza dell'episodio ed essendo ormai prossimo alla guarigione e in procinto di essere dimesso, decise di concludere il suo soggiorno all'ospedale"). Col trascorrere dei mesi la collera del barone nei confronti degli abitanti del villaggio non accenna a placarsi: arrivato l'inverno, un nuovo incidente, un incendio nella sua tenuta. Ognuno di questi misteriosi episodi ha, però, alcuni spettatori apparentemente disinteressati, ma in realtà inquietantemente sempre "presenti": sono i bambini della comunità, i figli del dottore, del barone (a cui il padre lega al loro braccio un nastro bianco come simbolico monito di innocenza e purezza per evitare le tentazioni del peccato), del pastore, del contadino e dell'intendente, che assistono e subiscono le crudeltà degli adulti. Da un raggelante dialogo durante uno squallido litigio tra il dottore e la levatrice, la signora Wagner, sua vicina, governante ed amante, madre a sua volta di un figlio disabile, emergono con raccapricciante evidenza alcuni vergognosi dettagli sui soprusi disumani che i bambini sono costretti a sopportare:
"Perchè non lasci perdere? Perchè tanta fatica? E ora non mi guardare con quell'aria da ebete! Non sei incapace, è solo che io non riesco a stare con te, tutto qua. Anzi, a dire il vero tu mi disgusti. E ora, per favore, spicciati a finire il tuo lavoro, non voglio passare tutta la notte qui".
"Ma che cosa ti ho fatto?".
"Buon Dio! Tu non mi hai fatto proprio niente. Tu sei brutta, sei trasandata, la tua pelle è flaccida e hai l'alito cattivo: non ti basta? Quel lenzuolo va fatto bollire... E ora non startene lì seduta come una vergine addolorata, non ti cade il mondo addosso, nè a te, nè tanto meno a me. È soltanto che a me non va più, tutto qua. Tante volte ho provato...ho provato a cercare di immaginare un'altra donna quando venivo a letto con te, una con un buon odore, una donna giovane e meno cadente di te, ma ora non riesco più nemmeno ad avere delle fantasie. Alla fine mi ritrovo sempre accanto a te e mi viene voglia di vomitare. E mi vergogno di me stesso. Allora che senso ha?".
"Hai finito?".
"Sì, da molto tempo...".
"Devi essere molto infelice per riuscire ad essere così crudele".
"Oh, no, per favore non ricominciare!".
"So di non avere un bell'aspetto. E il mio alito cattivo dipende dallo stomaco, non è una novità. Prima, però, non provavi disgusto quando stavamo insieme, la mia ulcera c'era già quando tua moglie era ancora al mondo".
"Ti prego, risparmiami i tuoi ripugnanti dettagli. Posso assicurarti che mi hai sempre nauseato. Io, dopo la morte di Julie, volevo abbrutirmi, volevo alleviare il mio dolore con chiunque capitasse: avrei potuto fottere anche una vacca! E poi le puttane sono troppo lontane da qui e purtroppo a me non basta levarmi la voglia una volta ogni due mesi, nonostante la mia età. Quindi smettila di fare la scena della martire e sparisci!".
"Perchè te ne rendi conto solo ora?".
"E quando avrei dovuto rendermene conto, secondo te? In ospedale avevo dimenticato quanto tu mi fossi di peso: si diventa sentimentali quando si soffre. Sparisci, forza! Vattene! Non hai un po' d'amor proprio?".
"Non me lo posso permettere accanto a te".
"Sì, questo è vero".
"Non hai paura che faccia una sciocchezza?".
"Accomodati! Riusciresti a sorprendermi, per una volta, ma stai attenta: potrebbe essere doloroso".
"Sono puerile, lo so. Non cambierebbe niente per te".
"Già...".
"Perchè mi disprezzi tanto? Perchè quel bambino ti ho aiutato a crescerlo io? Perchè ti vedo quando tocchi tua figlia e me ne sto in silenzio? Perchè ti aiuto ad ingannare te stesso? Perchè ti ascolto quando ripeti quanto amavi la tua Julie, anche se tutti nel villaggio sanno che la maltrattavi come maltratti me? Perchè ti amo pur sapendo che non riesci a sopportare di essere amato?".
"Esattamente. Ora vattene, devo lavorare".
"Non puoi permetterti di liberarti di me, chi farebbe per te il lavoro sporco? Chi ti aiuterebbe con i bambini e qui nello studio? Non parli sul serio, vuoi solo vedere fino a che punto puoi arrivare, vero? 'Ingoierà anche questo o posso spingermi ancora oltre?' Anch'io sono stanca. Ho due figli ritardati: tu e Karli. E tu mi dai più problemi".
"Buon Dio, ma perchè non muori?".
Una nuova scomparsa, proprio il figlio ritardato della levatrice, e il suo successivo ritrovamento in un bosco, gravemente ferito (sogno premonitore, puntualmente avveratosi, di Erna, la figlia dell'intendente, che lei stessa aveva confidato al maestro senza venir presa sul serio), convincono finalmente il barone a denunciare i fatti alle autorità giudiziarie. E mentre gli agenti perlustrano la zona ed interrogano i testimoni, il piccolo Sigi, vittima dei suoi coetanei, subisce il furto del suo zufolo di legno. La baronessa ne ha abbastanza e abbandona definitivamente il marito: "Io non resisto qui. Non tanto per me stessa, anche se non posso certo dire che vivere al tuo fianco sia il massimo per una donna della mia età. No, io vado via da qui per evitare a Sigi e ai gemelli di crescere in un ambiente dominato da malignità, invidia, stupidità e brutalità. L'episodio dello zufolo di Sigi ha solo fatto precipitare le cose: ne ho abbastanza di prepotenze, di minacce e di perverse vendette". E mentre l'erede al trono d'Austria viene assassinato a Sarajevo e scoppia la Prima Guerra Mondiale, la levatrice riesce a scoprire, grazie ad una rivelazione di suo figlio Karli, chi ha commesso i crimini e lascia in fretta e furia il villaggio, preceduta dall'improvvisa partenza del dottore e i suoi figli, per recarsi in città e rivelarlo alla polizia. Il maestro, accortosi dell'episodio e deciso a far luce sui misteri della vicenda, scoprirà l'incredibile ed inquietante verità. Ma il finale resta sospeso: le spiegazioni, sottolinea Haneke, non servono...
Premiato con la Palma d'Oro al Festival di Cannes ed inizialmente progettato come una miniserie in tre puntate per la televisione austriaca, Il nastro bianco è un'opera di agghiacciante ed inesorabile disperazione, straziante ed angosciante quanto le urla di dolore dei suoi piccoli protagonisti quando cadono vittima delle immonde pulsioni distruttive della società in cui vivono. Il nastro bianco, secondo le parole del suo autore, non è un film sulla Germania e sul nazismo: ma la generazione di bambini protagonista del film, martoriata ed influenzata dalle disumane crudeltà degli adulti e dalle aberrazioni e dalle ingiustizie di un'educazione repressiva e violenta (il pastore che lega le mani del figlio al letto per impedirgli di masturbarsi di notte, gli abusi sessuali del dottore sulla propria figlia), sarà proprio quella che vent'anni più tardi indosserà le uniformi del Terzo Reich. Bambini che non hanno più un cuore, quindi, prosciugato dal peso della "punizione", ineluttabile regola di sopravvivenza e comportamento: per ogni atto contrario alle dogmatiche imposizioni degli adulti, infatti, i bambini vengono puniti e, soprattutto, imparano a punire i loro coetanei. La loro crescita e il candore dell'infanzia spazzati via dall'autoritarismo e dalle sevizie inferte loro da una comunità rigida e chiusa nelle proprie convenzioni (sociali, religiose, politiche): che tutto ciò si traduca, concettualmente, in quel terreno fertile su cui germoglierà il nazismo è, ovviamente, un'estremizzazione, anche perchè significherebbe trascurare colpevolmente le ragioni storiche ed economiche che ne consentirono l'ascesa. Il nastro bianco ne esplora, piuttosto, metaforicamente la formazione e lo sviluppo nelle coscienze, sottolineandone l'impossibilità di una reale ribellione: ogni dinamica comportamentale che regola la vita nella piccola comunità rurale del film, infatti, è tacitamente accettata e subita da ogni suo membro, sovvertirne le regole è un'eresia. Nessuna affabulazione consolatoria, come consuetudine nel cinema di Haneke, è concessa allo spettatore: solo la possibilità di scelta, prendere o lasciare. E "prendere", in questo caso, significa immergersi con palpabile e crescente sgomento in un microcosmo di straniante dissonanza morale, dove il sopruso regola il rispetto del dogma e dove la salvezza si nutre di sangue e sottomissione, impliciti proprio nell'accettazione dei ruoli (genitori/figli, uomo/donna, ministri della religione/fedeli, padroni/servitori). Girato a colori e poi virato in bianco e nero in post-produzione, ammantato dalla straordinaria fotografia di Christian Berger, scosso da profondi e suggestivi contrasti (urla di dolore e silenzi, lunghi piani-sequenza ed incalzanti primi piani, luci folgoranti e ombre perturbanti), Il nastro bianco risolleva le quotazioni di Haneke dopo il discusso remake hollywoodiano di Funny Games, tornando ad esplorare con lancinante virulenza drammaturgica le devastanti conseguenze sociali della violenza e dei sensi di colpa: "Nella nostra società la questione della violenza è inevitabile. Quanto al senso di colpa, sono cresciuto in un universo giudeo-cristiano dove questo tema è onnipresente. Non è necessario essere cattivi per diventare colpevoli: fa parte del nostro quotidiano".

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