Regia di Ken Loach vedi scheda film
Eric (Steve Evets) è un postino di Manchester con una grande passione per il calcio e un idolatria forte per il fuoriclasse francese Eric Cantona. La sua vita non va un granchè bene. Il rimorso di una malefatta compiuta molti anni prima, quando abbandonò senza farsi più vedere l'amata Lily (Stephanie Bishop) e la loro piccola figlia Sam (Lucy-Jo Hudson), lo assale continuamente. Con lui vivono i due figli d'una moglie che se n'è andata, Ryan (Gerard Kearns) e Jess (Stephan Cumbs), due ragazzi alquanto casinisti, soprattutto Ryan, il maggiore, invischiato con pericolosi teppisti. A poco a poco però la sua vita comincia a rasserenarsi, riprende i contatti con Lily, le parla e ha modo di chiarire alcune cose con lei. I suoi amici di lavoro e di stadio lo hanno aiutato molto ma il merito principale della sua rinascita va a Eric Cantona, che lui immagina essere la sua guida morale, la persona che gli siede affianco e lo consiglia continuamente, rappresentando l'unico vero appiglio per farlo rialzare.
"Il mio amico Eric" è un film sul potere vivifico dell'immaginazione, quella che ti concede la possibilità di non sprofondare irreversibilmente nel baratro della depressione, che ti apre un varco consentendoti di riguardare a ritroso la tua vita, riflettere sui propri errori e con calma cercare di rimetterne apposto i cocci. Eric ha una vita allo sbando e una grande passione per il calcio che identifica nella figura di Eric Cantona. Le due cose ad un certo punto si incontrano, l'una diventa il riflesso dell'altra, il coraggio di guardare in faccia i fantasmi del suo passato è il frutto dell' immaginifico rapporto spirituale che istaura col suo divo. Il rituale della partita allo stadio con gli amici e la fideistica adesione accordata a un calciatore simbolo, diventono il modo per riflettere su se stessi e sul rapporto con gli altri, di rispondere presente alla vita anche in ambiti che vanno ben oltre la stretta osservanza di una passione. Così, la grande capacità aggregativa del gioco del calcio diventa funzionale per risolvere problemi di tipo sociale all'insegna del più classico "tutti per uno, uno per tutti". Una favola dalla forte carica utopica, insomma, dove il gioco di squadra riegheggia quell'idea di coscienza di classe tanto cara a Ken Loach, qui più leggero e "surreale" del solito, più pacificato, in vena di seminare un pò di sano ottimismo. L'autore inglese gioca al limite della retorica buonista e lo stesso espediente del rapporto immaginifico con Eric Cantona rischia di diventare gratuitamente convenzionale. Ma in mano a Loach il tutto assume un tono aggraziato, come la bella giocata di un fuoriclasse che scalda gli animi dei tifosi, o come una carezza capace di percuotere le coscienze. Svincola tutti i tranelli con grande talento che gli è riconosciuto, che gli consente di virare verso modi più leggeri per parlare dei temi a lui cari, standosene alla larga da ogni moda e da ogni tipo di conformismo. Ne esce un film minore nell'ambito della sua fulgida filmografia, ma assai gradevole, appassionato come può esserlo una fede incondizionata e commovente come scoprire che la vita può anche ricominciare a cinquantanni. Ken Loach come Eric Cantona, esteti anticonvenzionali. Per natura e per vocazione.
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