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Il mio amico Eric

Regia di Ken Loach vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il mio amico Eric

di elendill
8 stelle

“Io ti troverò, perché io sono un postino”. L’orgoglio di classe affermato con dignità, cantato dentro ad autobus sgangherati, portato in trionfo, amato con sfrenata sincerità. Riabilitazione sorridente del proprio umile ruolo che è prima di tutto quello di amici, fratelli, sostenitori e, sì, compagni. E che è capace persino di ribaltare una situazione più che mai attuale, bollente e pericolosa con la non violenza di un’irruzione in casa del nemico che sembra una parata in maschera, bombolette di vernice e telecamera alla mano, sul filo del comico immerso nella sporca, ricattatoria, avvilente tragicità del reale.
Ken Loach è un autore discontinuo, non sempre all’altezza del proprio talento, ma ogni suo film, anche il più debole e scricchiolante, conserva una certezza, un elemento prezioso: la coerenza. L’incorreggibile volontà, forza, impegno di (continuare ad) essere sé stesso e mostrare (senza didascalicamente dimostrare) con sfacciata ed entusiastica onestà il suo pensiero sul mondo, sia esso sgradevole, politicamente scorretto o straniante; non importa, conta la costanza del non tirarsi mai indietro, nel non cedere mai a compromessi, in primis commerciali. Con risultati altalenanti, ma intrisi di urgenza fino a sgorgarne.
Il mio amico Eric (molto meglio il titolo originale, quel ‘looking’ che è movimento in atto, ricerca continua e intima, viaggio interiore ed esteriore fra i grovigli dell’esistenza sfilacciata come le stringhe delle sue scarpe logore) è una commedia divertente e imperfetta, dolorosa e spumeggiante, malinconica e lieve anche quando va sbattere contro vicoli ciechi e anfratti senza speranza; commedia mossa soprattutto dall'amore, che sorregge le sorti, le decisioni e i tumulti emotivi di ogni personaggio, dai due Eric protagonisti alla dolcissima Lily.
Infine, carte in tavola. Commedia troppo rossa? Diciamo che il colore scarlatto è predominante, questo sì, ma non si tratta di quello politico, semmai di quello della passione.
La passione per il cinema, per le storie, per i personaggi; la passione per la vita, dopotutto e nonostante tutto.

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