Regia di Peter Jackson vedi scheda film
Per parlare degli amabili resti mi tocca dire francamente quello che penso del signore degli Anelli… pur sapendo che ciò non gioverà alla mia popolarità… ma non avendo mai aspirato ad essere la testimonial delle cucine Scavolini, male che vada mi ritroverò solo il commento in più di qualche invasato che nell’armadio conserva un costume da Frodo comprato su e-bay…
Dicevo… secondo me Peter Jackson da quando si è cimentato nella sopravvalutatissima trilogia, oltre ad essersi po’ rincojonito, è rimasto impantanato in una visione di cinema monolitico e privo di qualsiasi ironia
La sceneggiatura si perde in aspirazioni poetiche retoriche, cercando di ricreare una dimensione epica là dove dovrebbe esserci un thriller soprannaturale, costruito prima di tutto su una tragedia familiare.
Ogni concetto è eccessivamente declamato… i proclami di amore filiale e genitoriale, la messa in scena del dolore e perfino le parole scelte per il primo bacio sono irritanti almeno quanto quelle dei gai valletti di Frodo, sempre pronti a prodigarsi in dichiarazioni di amicizia virile.
Tutto pretende di vibrare come se fossimo costantemente in presenza di luce e di verità ma il risultato è posticcio, ricercato, privo di empatia. La fotografia sembra impantanata in un contesto da “Apparizione della Madonna in una radura coperta di rugiada, in un mattino di primavera”.
Perfino le scene del “mondo altro” sono fredde e non hanno nessun potere evocativo. Il regista è stato ben attento a porre qua e là i richiami e rimandi necessari… la palla di vetro con il pinguino, i velieri nella bottiglia e la palla colorata… è tutto molto didascalico e asettico, totalmente privo di mistero. E a far da contraltare a queste immagini così definite, la vicenda annaspa tra troppe incongruenze… La permanenza in questo simil paradiso infatti non sembra essere collegata alle vicende che si susseguono su questo mondo.
Veniamo poi alle incongruenze macroscopiche…
Come fa l’assassino a costruire l’antro nel campo di grano con solo le mani nude?
Dove occulta i presumibili 4 o 5 metri cubi di terra che scava?
Come fa a ricoprire tutto senza che nessuno se ne accorga?
Come fa a caricare da solo la pesantissima cassaforte dalla cantina in macchina se poi, dopo, appare evidente che ha bisogno di aiuto per trasportarla?
Perché improvvisamente tutte le vittime dell’assassino sono pronte a passare oltre sebbene lui non sia stato scoperto?
E perché si è tenuto il cadavere in cantina?
Perché tutti i personaggi “crescono”, tranne il fratellino piccolo? Perché dubito che, come ha detto qualcuno tra il pubblico, sia affetto da nanismo…
E in fine, last but not least, come hanno fatto a ringiovanire Bruno Martelli di Saranno famosi per fargli interpretare il ruolo del Moro? Devono aver usato il digitale… altro che Avatar!
Concludo (su richiesta) con le reazioni dell’intera sala di fronte al finale…
La protagonista ci ricorda che l’hanno uccisa a quattordici anni ma a noi manda auguri di lunga vita e propsperità… si leva un mormorio seguito da interventi scontati, partendo da “diamoci ‘na bella grattata…”, arrivando al più creativo “tocca veni’ al cinema co’ un gatto nero…”, passando attraverso l’immancabile (perdonate… siamo romani e ci piace tanto…) “limortaccisua…!”.
Insomma Amabili resti è un film fondamentalmente toppato, eccessivamente manierato, con una serie di virtuosismi d’autore che escludono lo spettatore risolvendosi in un esclusivo rapporto erotico tra Peter Jackson, la macchina da presa e sicuramente pure quell'altro menagramo di Frodo…
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